Non ho radici dove sono nato
né dove vivo né da cui provengo,
madri sabine e padri marchigiani
(“marchesi”, mi uscì detto da bambino,
e mi costò un soprannome beffardo)
con qualche probabile zampino
gotico o longobardo.
Vorrei potermi dire cittadino del mondo,
ma in quel lapsus puerile
c'erano già i confini di questa patria certa,
circoscritta, ristretta
in questa lingua che uso (al punto che sospetto
che la mia lingua sia il mio stesso io,
se con lei penso, con lei sogno e scrivo).
Vorrei sentirmi un semplice abitante terrestre,
come il celeste giorno che scovai
fra le alghe verdi e i ciottoli del fondo
la conchiglia più bella del reame
e godendola tutta mi tuffai
privo di vesti e vincoli di verbi,
animale di pure sensazioni,
di salda essenza e mitiche visioni.