mercoledì 11 dicembre 2013

Ariodante Marianni traduttore di Emily Dickinson

Ne "I grandi tascabili" di Bompiani uscì nel 2000 un cofanetto dedicato alla Dickinson: poesie con testo inglese a fronte a cura e traduzione di Margherita Guidacci e un'appendice di 33 poesie tradotte da Ariodante Marianni.  Seguono le Lettere con postfazione e aggiornamento bibliografico a cura di Anthony L. Johnson, che collaborò con Marianni anche per lo studio di Yeats.
 Emily Elizabeth Dickinson nacque il 10 dicembre 1830 ad Amherst, puritana cittadina del Massachusetts.
 
"Relativamente facile tradurre la Dickinson - ricordava Marianni a proposito di questo suo lavoro "minore" - eppure quanta delicatezza, cautela, sforzo di immedesimazione furono necessari per introdursi in un animo delicato e sensibile e tormentato, quale fu quello della poetessa americana".
 
Emily Dickinson, Poesie e lettere, cura e traduzione di Margherita Guidacci, con un'appendice di poesie tradotte da Ariodante Marianni- Testo a fronte, Bompiani 2000.

mercoledì 20 novembre 2013

Ariodante Marianni al Premio di traduzione poetica "Achille Marazza" 2002

Ariodante Marianni riceve il premio 2002 per la traduzione poetica de La scala a chiocciola di Yeats


" La commissione giudicatrice ha deliberato all'unanimità di assegnare il premio ad Ariodante Marianni per la versione di  La scala a chiocciola e altre poesie di W. B. Yeats, che segna l'esito più alto di un autentico incontro di destino tra un autore e il suo interprete. Tornando a confrontarsi con una poesia affascinante ed impervia che ha messo a prova, nel corso del tempo, traduttori di prima grandezza, Marianni porta a termine vittoriosamente la sua sfida, così come gli era accaduto nel corso delle memorabili versioni da Dylan Thomas, e perviene ancora una volta a un miracoloso equilibrio tra libertà ed esattezza, strenua aderenza ai testi e suprema eleganza formale" (Franco Contorbia. Borgomanero, 16 novembre 2002 )

Mostra di Monotipi "Un grado zero della pittura". Incontro con gli studenti dell'ITIS











domenica 29 settembre 2013

Tuscania

a Giuseppe Ungaretti

Su quest’arca di pietre al largo del mattino,
mentre plana la cornacchia e il lombrico
scava la sua paziente miniera, un passero saltella
sul prato della mia tenerezza, la vertebra

secolare sfarina sotto il piede incuriosito…
Ordina all’erba di non crescere, alla torre
che smetta di crollare: il tempo accorda
il suo orologio su quello del bambino

che stana il mostro, mi scorta nel cunicolo
attraverso l’inferno della sua fantasia.
Non è assurdo l’esistere: segue altra logica
(vecchio maestro, mio Noè, soccorrimi!) e,

amica, per quella fibbia uscita dalla tomba,
mai si saprà chi abbia avuto ragione.

da Un amore senile e altre spezie, Book 2008

martedì 13 agosto 2013

Roma illa

a Mario Picchi

Da giorni un verso mi si rigira nella testa
come uno scolaro ancora assonnato
che non si decide a uscire dal letto.
A dargli retta, parafrasando Catullo
e con tanto di dieresi sulla i,
avrei dovuto cominciare questa lettera così:
"Mario, Roma nostra, quella Roma,
Roma che tanto abbiamo amato..."
e con l'amara stizza dell'amante tradito,
andare avanti a forza di rimpianti,
non tralasciando qualche rude epiteto
da marciapiede.
                        "Letteratura a parte -
ha interloquito in tempo il mio Grillo
parlante - lo trovo stupido e ingiusto.
Che vuoi rimpiangerti? i fasti dei gerarchi?
od i nefasti del dopoguerra:
i baraccati a Testaccio e sull'Aniene,
gli stracci a Porta Portese,
la borsa nera e tutte le miserie
celebrate dai film del neorealismo?
E di tuo che lamenti? la stanza in subaffitto
con la finestra sul cortile, o il tram notturno
dalle scuole serali, scatenato nella città
semideserta, che ti svegliava alle curve
con fischi e scossoni? In realtà,
quello che rimpiangete, tu e gli altri tuoi pari,
è, come al solito, il tempo perduto,
la gioventù andata al macero".
Vorrei, ho tentato di ribattere, solo una cosa,
che saprei ancora godermi:
camminare per Roma senza pericolo di morte.
"Giusto - ha insistito - Roma è sporca e caotica,
il gas di scarico del traffico
sbriciola marmi, secca pini, unge pareti,
e si respira con un quarto di polmone.
Ma te la immagini piena di carri,
di tiri a quattro, di cab e barrozze,
con bai, leardi, palafreni e rozze,
asini e muli parcheggiati in ogni angolo?
Passeggeresti più tranquillo?"
Vorrà dire - ho rimbeccato indispettito -
che quando un barbaro a cavallo
del suo Bucefalo ruggente, mi arroterà le spalle
mentre attraverso il Corso sulle strisce,
dirò: ecco un arcangelo che passa;
sono stato sfiorato dalla grazia!

*
Stanotte mi sono svegliato di soprassalto
da un incubo di gente nuda, convulsa,
che scavalcava le transenne, agitando
le braccia, urlando titoli e cifre
contro di me nel box che protestavo
la mia innocenza. Seduto sul letto,
mentre calmavo il batticuore, ho pensato
a Calcutta, Città del Messico, Il Cairo,
e a tutti quegli anelli che circondano,
come aureole, le metropoli del globo,
in cui lontana da Borse e monumenti,
lindi quartieri con viali e giardini,
una reietta umanità cresce i suoi figli
in dormitori di lamiera, fra stenti
e crimini vissuti come destino,
e neri vizi che addolciscono il tempo
di quell'unico vizio che la Natura impone:
sopravvivere, per riprodursi...
Capzioso è il grillo, riflettevo,
col suo irritante buonsenso
che castra speranze e nostalgie;
ma più subdolo è il sogno, e questi pensieri,
che gli vengono dietro senza un nesso.
Forse contengono una chiave.
La gioia è fuggita dalle nostre coscienze;
Roma o Stoccolma, non cambia: la Storia
incombe, la Cina è vicina: il solo esistere
in questa belle époque che non godiamo
ci dà rimorsi senza colpe. E dunque addio
notti brave a Trastevere, scorrerie
lungo l'Appia, tramonti al Pincio, merende
ragionando d'amore in mezzo all'erba,
porgendo orecchio alle favole narrate
dalle foglie e dai merli dietro i ruderi:
Roma non è più nostra, Roma illa.

Roma, 21 ottobre 1988

"Roma illa" è tratta dalle "Lettere oraziane" di  Ariodante Marianni in Una strana gioia, Manni 2003, pp. 75-77

lunedì 15 luglio 2013

Nota su Ariodante Marianni, William Carlos Williams e l'Istituto Internazionale del disco, di Eleonora Bellini

"L’Istituto Internazionale del Disco, che aveva sede sia a Milano che a Roma, nel fervore di rinascita dei primissimi anni Sessanta, pubblicò una collana culturale diretta da Paola Oietti, giornalista e figlia di Ugo, che, negli anni Venti era stato direttore del Corriere della Sera.
Il catalogo 1960 - 1961 si presenta ricco di sessantotto microsolchi, nelle sole collane “Spirituale” (letture dei quattro Vangeli) e “Culturale” (letteratura italiana e straniera da I fioretti di San Francesco al Romanzero Gitano di Federico Garcia Lorca, dalle Liriche di François Villon alle Poesie di Vincenzo Cardarelli); vi appaiono inoltre una collana musicale ed una dedicata ai bambini. Lo slogan promozionale dell’impresa era: “Il disco che vi regala la venticinquesima ora della giornata” e l’introduzione al catalogo spiegava:
“L’Istituto internazionale del Disco, nell’affidare a valenti critici la scelta delle opere che compongono la Collana Culturale ha voluto che fossero tenuti presenti due fatti fondamentali: che ogni disco offrisse un aspetto inedito dell’opera di ciascun autore e che la voce dell’interprete fosse congeniale anche nelle sfumature al carattere della composizione stessa é [...]”.
Ariodante Marianni collaborò a sette dischi, curandone la presentazione oppure la traduzione, o entrambe. I poeti di cui egli si occupò furono (fatta eccezione per Wilde e con l’assenza di Yeats e di Whitman) quelli che lo accompagnarono per gran parte della vita: Emily Dickinson, Oscar Wilde (due titoli: La Ballata del Carcere di Reading e L’usignolo e la rosa), i Poeti moderni americani (Poesia e Jazz della beat generation con Frank O’ Hara e Allen Ginsberg), Dylan Thomas, gli autori di Fantascienza e poesia (tra gli altri Sergio Solmi, Nelo Risi, Mario Socrate), William Carlos Williams."
 
Volete leggere tutto l'articolo, che comprende anche "Poesie di William Carlos Williams scelte e commentate da Ariodante Marianni"? Procuratevi la rivista "Fermenti" n. 238/2012 (qui il sommario http://www.fermenti-editrice.it/schede/Sommario_Rivista_Fermenti_n_238.pdf)

mercoledì 29 maggio 2013

Ciao, Ario! di Paride Mercurio

Caro Ario,
quest’anno mi è stato affidato (e tu sai da chi...) l’onere, che per me è soprattutto un onore, di ricordare la tua illustre figura.
Ti confesso che non amo particolarmente le commemorazioni pubbliche, men che meno i coccodrilli. Parlare poi coram populo di persone a cui sono legato da sentimenti d’affetto mi riesce assai difficile: si rischia sempre di rimanere invischiati nelle panie della retorica o di cadere vittime di quella che mi piace chiamare la sindrome dell’ultima bugia (com’era buono, com’era bello, quanto era santo...).
Ho pensato allora di ricordarti agli altri scrivendoti una lettera: del resto i toni colloquiali e l’ironia sono peculiarità che appartengono alla tua opera, o mi sbaglio?
Comincerò quindi , come si conviene, dalle notizie biografiche. Nasci a Napoli, nei primi anni Venti del secolo scorso, per caso, nel senso che la tua famiglia è romana e si è trasferita all’ombra del Vesuvio per motivi di lavoro. Credo non ti sia dispiaciuto vedere la luce accarezzato dalla brezza del Tirreno, che proprio lì custodisce le spoglie del poeta Virgilio.
Ancora bambino, dopo la scomparsa di tuo padre, torni nell’Urbe dove rimani fino all’età matura; quindi te ne vai a Bracciano e, in vecchiaia, decidi, fortunatamente, di venire a Borgo Ticino.
Qui a Borgo ti vedo per la prima volta nel marzo del 2004. È una giornata strana che si rasserena verso sera, dopo una sorprendente nevicata. E di sera appunto ci conosciamo in biblioteca: tu presenti un libro di Eleonora, Fuori dal nido, Paolo, un mio caro amico, presenta la mia seconda raccolta di poesie, Anima memor. Scambiamo due parole alla fine, ma la mia timidezza mi impedisce di approfondire la reciproca conoscenza, nonostante la tua affabilità.
Non ho ancora parlato della tua attività artistica che spazia dalla letteratura alla pittura e quindi faccio un passo indietro. Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento ti fai chiamare Ario e sei protagonista della stagione dell’Astrattismo romano. Diventi segretario di Ungaretti, traduci i poeti anglofoni: gli americani Whitman, E. Dickinson e W.C. Williams, l’inglese W. Auden, il gallese Dylan Thomas e, soprattutto, tutte le opere in versi dell’irlandese William Butler Yeats per i Meridiani Mondadori, impresa che ti costerà vent’anni di lavoro.
E che dire delle tue amicizie? Ungaretti, come detto, ma anche Calvino, Solmi, Luzi, Nelo Risi e molti altri personaggi illustri della nostra cultura. Ah, dimenticavo: sei stato anche nell’ufficio stampa del Festival dei Due Mondi di Spoleto, ideato da Giancarlo Menotti, che fece fortuna negli States, ma che nacque a un passo dal Ceresio, a Cadegliano Viconago, dove da anni vivono i miei genitori (e questa è una cosa di cui ti volevo parlare, ma non ne ho avuto il tempo...).
Il nostro secondo incontro, manco a dirlo, avviene ancora in biblioteca a Borgo: è la fine del 2006 o l’inizio del 2007. Eleonora ci presenta: ti scegliamo, con entusiasmo, come presidente della giuria della II edizione del Premio Cerruti.
A febbraio ci ritroviamo da voi con tutta la giuria: è un martedì grasso bellissimo, una serata serena e dolce, durante la quale, mentre si discute per scegliere i vincitori del concorso, finalmente riesco a scoprirti come uomo. Le distanze all’improvviso si accorciano, i timori svaniscono e ti vedo nella grandezza del tuo essere. La tua umiltà e la tua passione mi colpiscono, mi abbagliano così come la tua voce calma, profonda.
Il 3 marzo è in programma un’altra presentazione di libri. Il mio amico Paolo, per impegni di lavoro, mi comunica solo qualche giorno prima che non potrà esserci e così rimango senza presentatore per il mio Archeolemmi. Tu lo vieni a sapere e ti offri di aiutarmi senza titubanze, io non riesco a crederci: sei anche generoso. Quel sabato di marzo pieno di sole non lo dimenticherò mai. La tua presentazione del mio libro fa vibrare tutte le corde del mio cuore. Il mio affetto per te aumenta in maniera esponenziale, perché ti sento molto vicino. Quello che mi colpisce è l’energia che ti pervade: sei vivo e vitale, appassionato e lucido. Prima di allora credevo che i tuoi versi contro Ovidio (denigratore dell’amore senile) fossero di maniera, una citazione colta per esperti; ora comprendo che non è così: tu ami, e lo fai con tutto te stesso, come è giusto che sia, come comanda amore, come fa chiunque sia veramente e profondamente innamorato.
Mi elogi pubblicamente, dopo aver precisato che sono cresciuto dal punto di vista letterario dal 2004. Sono felice e convinto che la tua presenza nella mia vita sia un dono preziosissimo.
Ci rivediamo -nei giorni seguenti- un paio di volte ed è sempre una scoperta: ti faccio mille domande a cui tu rispondi sempre sereno, con un entusiasmo che mi travolge.
Arriva l’ultima settimana di marzo, sono in pausa pranzo, un messaggio fa trillare sinistramente il mio cellulare: Ario se n’è andato...Mi ronzano le orecchie, tremo come una foglia, ma Saffo non c’entra: ho perso un amico, un maestro, un uomo vero. Dolore, rabbia, impotenza. Ma la falce che tutte l’erbe pareggia non risparmia nessuno, nemmeno te, dolce principe. Finisco qui, non voglio ricordare oltre quelle ore.
Di te restano i quadri, le traduzioni, le poesie, i contributi critici, le foto e le immagini televisive: un patrimonio culturale enorme e prezioso. A noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerti e amarti rimane molto di più: il tepore avvolgente di un’anima grande che non ci lascerà mai.
Ario, è tempo che mi congedi; salutandoti ti dico che, quando questo mio strano ricordo capiterà nelle mani di qualche lettore (presumibilmente il giorno della premiazione dei vincitori della V edizione del Premio Cerruti e della III del premio a te dedicato), io sarò appena ritornato dal Verano, non prima di aver lasciato, dinanzi alle tue spoglie, un fiore fresco ed un caldo sorriso: li hai graditi?
Stammi bene, amico mio!

Tuo Paride

Borgo Ticino, 3 marzo 2010

Dal quaderno del Premio Letterario Nazionale
"Antonio Cerruti - Ariodante Marianni"
2010

lunedì 20 maggio 2013

Ario e Vittorio. Cartoline da un'amicizia, di Giulio Martinoli

Ariodante Marianni spesso mi raccontava della sua amicizia con Vittorio Sereni: un’amicizia assoluta, più che fraterna, di lungo periodo. Eppure Sereni, aggiungeva sempre Ariodante, non sapeva nulla o quasi nulla della sua attività poetica. Sereni lo conosceva come pittore e come fine traduttore, ma non come poeta. Il pudore che aveva tanto a lungo trattenuto Marianni dall’esporsi lo aveva frenato anche nei confronti dell’amico suo più caro. Tra i due poeti i punti di contatto sono più numerosi di quanto possa sembrare a prima vista: anzitutto la comune scelta di un linguaggio certo innovativo ma anche piano e quasi familiare, secondo una linea che parte da Pascoli e Gozzano (proprio su quest’ultimo verteva la tesi di laurea di Sereni) e arriva sino a Caproni e Pasolini, comprendendo anche i nostri due; ma spesso anche i temi e le atmosfere sono convergenti, benché Marianni, a mio parere, sia più ottimista e filosofo rispetto all’amico.
Ecco una breve poesia di Sereni (Terrazza):

Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
dove il lago finisca:
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira sene va.
Il soliloquio dell’insonne
quel credulo appagante almanaccare,
proiezione dei propri desideri
ed esorcismo dall’annientamento,
svapora come il fiato
in un freddo mattino come tenta
di farsi verbo,
come s’incarna in simbolo o metafora,
mosca afferrata al volo
che aperto il palmo è sparita.

Sarebbe interessante vedere pubblicato l’epistolario tra i due amici, per meglio comprendere che cosa li accomunasse e li rendesse quasi complementari tra loro. Ho letto alcune delle lettere di Marianni (pare che quelle di Sereni a lui non siano al momento disponibili): mi sono parse bellissime, piene di affetto, di serena saggezza, di umana comprensione.
All’amico appena morto, Marianni dedicò una delle sue opere forse più alte (Requiem Laico per Vittorio Sereni), in cui lo strazio per la perdita dapprima tracima in rabbia impotente (deglutivo di rabbia, come un uomo tradito,/ con un bisogno assurdo di coprirti d’insulti), per poi gradualmente stemperarsi nell’accettazione dell’addio:

[…] Ho celebrato
Un dolore che è mio e di tutti (tu l’hai
provato), quando accade il delitto;
ma questo devo testimoniarlo: eri un amico
fedele, e io non avevo misurato
il bene che ti volevo. Oh, riposa sereno
nel purgatorio della mia memoria, con tutti
quelli che ho amato e che ho perduto. Amen.


© Giulio Martinoli. Testo scrittoin occasione della cerimonia conclusiva del Premio « Cerruti – Marianni » 2013

sabato 23 marzo 2013

Ario su Oltrepensiero, aprile 2007


S I   E'   S P E N T A   L A   V O CE  
D I   D Y L A N   T H O M A S   E   D I   Y E A T S   I N   I T A L I A
 così la Redazione  di  Oltrepensiero.it intitolava un articolo a ricordo di Ariodante Marianni:


Ariodante Marianni, poeta e pittore romano è morto improvvisamente il 26 marzo scorso a Borgomanero, in provincia di Novara; si era infatti trasferito da qualche tempo nel vicino paese di Borgo Ticino, dove proseguiva con successo la propria attività letteraria ed artistica.
Le sue poesie, oggetto di una tesi di laurea all'Università di Macerata (prof. A. Luzi), sono raccolte in due volumi "Stato d'allerta (1948-1962)", finalista al Premio Viareggio 2002, e "Una strana gioia (1982-2002)".
Marianni, con le sue memorabili traduzioni, è stato l'artefice della fortuna di Dylan Thomas e W. B. Yeats (La torre, La scala a chiocciola, I cigni selvatici a Coole ecc.) in Italia. [...]
  
Per leggere tutto l'articolo, copiare nella barra degli indirizzi il link qui sotto

http://www.oltrepensiero.com/modules.php?name=News&new_topic=8&pagenum=3

giovedì 21 marzo 2013

E' ancora l'incanto della luna

Ario, Notte di primavera, monotipo, 1966

È ancora l’incanto della luna
nelle notti serene, quando sciamano
delicate meteore le lucciole
nei loro sacri sentieri, mendicando
con impulsi allarmati di affrettare
ciò che è loro richiesto,
e i grilli declamano
da luoghi occulti la loro irrefrenabile
fame d’amore,

e tutti gli alberi e le piante
sembrano addormentati nella polvere
luminosa dell’astro, l’asse terrestre
inclinato di quel tanto
che segna il punto giusto

tra la penombra e l’ombra
altri richiami.

(Ariodante Marianni, 2003)

lunedì 18 marzo 2013

Mario Picchi su alcune poesie di Ariodante Marianni

Artista libero e solitario, Ariodante Marianni si è fatto un nome come insostituibile traduttore di poeti come Dylan Thomas, W.B. Yeats, W.C. Williams e Walt Whitman, procrastinando il suo esordio come poeta in proprio nel 1988, quando pubblicò due volumetti di versi degli anni Cinquanta, De l' amour e Viaggio in incognito che per la loro freschezza e immediatezza piacquero assai ai lettori giovani. Con questo, di anni recenti, egli colma d' un tratto il vuoto da quei tempi lontani a oggi:l'abbandono al canto d' amore di ieri si salda con quello al canto d' amicizia di oggi, la voce è la stessa, limpida e forte, il tono soltanto è screziato di amarezze impavidamente considerate e gettate dietro le spalle. Chiuso fra una Poesia per il proprio compleanno e un Brindisi di San Silvestro sta il nucleo della raccolta: sette Lettere oraziane ad amici viventi, e alcuni saluti ad amici defunti, fra i quali spicca per densità e passione il Requiem laico per Vittorio Sereni. Orazianamente, gli argomenti delle Lettere sono personali e universali: sul traviamento delle parole, sulla responsabilità personale, su vita e morte, sull' inquinamento e la fuga in campagna, su Roma sporca e corrotta, sul mondo-mercato: ma di esse e delle altre il tema evidente e profondo è l' amicizia, e i personaggi ne sono soltanto gli amici, fra i quali si includono, insieme a noti poeti come Ungaretti, Sereni, Luzi, anche un ignoto ma importante cacciatore di paese e quello scriba egiziano della XII dinastia il quale lamentò che ogni parola era stata scritta. Ci vuol coraggio, in tempi di poesia chiusa come i nostri, a scrivere così solarmente come fa Marianni: un linguaggio allegramente e ferocemente discorsivo, che usa le parole più gergali e trite dell' oggi componendole in un contesto classicamente armonioso, e intimamente furioso, in versi pieni e tesi come chicchi ben maturi.
Mario Picchi per "la Repubblica" del 26 gennaio 1991

domenica 24 febbraio 2013

Recensione a Giuseppe Favati: "Per esempio, con la coda dell’occhio"

     L’enorme quantità di libri che arrivano sul tavolo di chiunque si occupi di letteratura può far sì  che fra essi possa anche nascondersi un capolavoro che solo anni dopo verrà riconosciuto da qualche solerte e attento ricercatore. Nella cernita immediata che se ne fa, alcuni vengono sfogliati subito e giudicati; di altri si rimanda la lettura a tempi più distesi, talvolta alle vacanze. E’ quello che mi è capitato di fare con questo romanzo di Giuseppe Favati, dal titolo ammiccante e reclamante complicità di Per esempio, con la coda dell’occhio (Manni Editori, S. Cesareo di Lecce, 2005). E’ un libro francamente pornografico, che l’autore, finissimo letterato, si affretta a giustificare e avallare ad apertura di pagina con questa dotta citazione dal “Dizionario filosofico” di Fernando Savater, alla voce Teresa: “Sapevi, mia lettrice, che fino a poco tempo fa, nel catalogo di molti librai, la denominazione ‘libri filosofici’ includeva le opere pornografiche? Questo encomiabile contagio proviene dal diciottesimo secolo, come tante altre cose buone. In quell’epoca benedetta, essere filosofi anche in questo significava, in generale, essere libertini […]. L’aggettivo diventava inequivocabile quando veniva applicato ai racconti o ai romanzi ‘filosofici’. Ancor più, naturalmente, se queste narrazioni erano opera di autori francesi”.              
     Il romanzo, che inizia con la descrizione di un "rituale"  lesbico fra la protagonista Totò e la sua compagna Nrica, un medico dalle  cui risorse dipende economicamente, è strutturato per capitoli alla stregua di un rapporto epistolare fra la stessa Totò e il suo ex Onorio, in cui ciascuno racconta all’altro le proprie vicende erotiche, a stuzzicarne verbalmente la fantasia, quasi una continuazione dei loro antichi rapporti. E sarà proprio la scoperta delle lettere di lui a scatenare la gelosia di Nrica e a far cessare il rapporto fra le due donne. Non vado oltre nella descrizione del libro per non togliere al lettore il gusto e la sorpresa di scoprire da sé le varie fasi di una vicenda ricca di momenti sapidi e allegramente satirici ma anche di sotterranee incursioni nel mondo dei diseredati e dei senza lavoro, ossia dei senza futuro. Favati si rivela in queste pagine scrittore a tutto tondo, con uno stile originale, polposo, da gustare come un frutto maturo. A conforto del giudizio ampiamente positivo che ho del romanzo, mi piace riportare ciò che ho trovato on line a firma di Eleonora Bellini e che mi sembra centri con acume quella che anche a me pare essere la principale caratteristica del libro:       
         "... qui non vi è solo il racconto gustoso di comportamenti e vicende da boudoir, lo sguardo si allarga, come già quello dei filosofi illuministi, a considerare situazioni taciute o ipocritamente negate dai più: i bisogni sessuali - erotici, amorosi - dei portatori di handicap, ad esempio, oppure degli anziani. Tutti raccontati con la voce "dal di dentro" della principale protagonista, un personaggio dotato di più storie e più volti, tra i quali anche quello di paladina all'interno di Ricominciare dalla tre, originale associazione, a mezzo tra il volontariato puro e semplice e l'enfatico attivismo da esercito della salvezza. Naturalmente qui la missione è quella della salvezza sessuale, dell'esercizio erotico, della condivisione del piacere, per missionarie ed adepti, senza distinzione". 
         A conclusione di questa breve nota vorrei aggiungere un accenno a un autore del primo ‘900 che fece dell’erotismo il proprio cavallo di battaglia, raggiungendo fama e ricchezza ma anche processi per oltraggio al pudore e persecuzioni razziali: parlo dell’ebreo Dino Segre, che con lo pseudonimo di Pitigrilli pubblicò a partire dagli Anni Venti vari romanzi di enorme successo (ne ho letto uno in questi giorni, “Cocaina”, del 1921, che nel ’28 era già alla sua 12a edizione!), oggi del tutto dimenticato. Era anche lui uno scrittore “libertino”, ossia un libero pensatore, con l’occhio attento alle magagne del suo tempo.
         Il lettore dunque si lasci pure coinvolgere dalla trama e dalle sapide situazioni del romanzo di Favati, ma non dimentichi che l’occhio dello scrittore spazia in un campo più ampio, penetra oscuri e taciuti anditi della società del suo tempo: il nostro.          

                                                                                                Ariodante Marianni

sabato 16 febbraio 2013

Da "Confiteor", poesia scritta dal poeta nel suo trentesimo compleanno

[...]
Con la testa confusa e il cuore gonfio
di trite notizie (che c'è di nuovo
al mondo? - in Corea si combatte,
una regina è succeduta a un re,
i governi proclamano equilibri
di forze e tornano ad armarsi)
questa mattina mi sono aggirato
per le sale del Palazzo dei Cesari, sul Palatino,
tetre come spelonche di cavernicoli,
e ho camminato a lungo pei vialetti
tra marmi rotti, muri dissepolti,
e tutta la superbia umiliata
che ora serve da sfondo alla foto dei turisti,
tra l'alloro e l'acanto e il finocchio selvatico
(era lo Zefiro, quel venticello odoroso?)
lucertole e sterco disseccato,
pensando al tempo distruttore e alle mire dell'uomo,
a mille altre cose più o meno sublimi,
esaltandomi, ironizzandomi,
prendendo appunti per una stolta abitudine
(ed era un fiore quel miracolo giallo?)
[...]

(16 febbraio 1952, trentesimo compleanno del poeta)

La poesia "Confiteor" fu pubblicata in Poesia in piego (Roma, 1979)  e successivamente nel Quaderno del premio AntonioCerruti - Ariodante Marianni (Borgo Ticino 2009)

Ario, geometrie, 1970

venerdì 15 febbraio 2013

Se in tutto questo disordinato stupore


Se in tutto questo disordinato stupore
l’abbaglio proviene dal pensiero
perché il fine che insegue è “verità”
e troppo precisa pretende la risposta,
quali domande daremo al bambino,
quali incertezze e dubbi e negazioni?
L’acqua e la roccia sembrano accaparrarsi
tutta la dialettica dell’essere: la lotta
riporta allo sgabello, ogni apparente vittoria
ripropone la stessa sequenza:
più, più verità, con quel che segue…

Ed ecco, noi riprendiamo il cammino
in mezzo ai ruderi del labirinto, in cerca
di quel centro che non esiste, lungo vie
da gran tempo abolite, guidando il bimbo
per mano: per quell’amore, per quell’amore
che ci consuma, che già sappiamo inutile
sapienza, o forse solo elusiva bellezza.

(da Viaggio in incognito, Biblioteca Cominiana 1988; poi in Stato d’allerta, Manni 2002)

lunedì 11 febbraio 2013

Scario

                          
La luna la vedemmo arrampicarsi sul tetto
e galleggiare poi nel cielo scuro
e il mare, sotto, sbriciolarne il lume
in piccoli frammenti rilucenti.

Ci separava un tavolo per due.
Vi danzavano sguardi e desideri,
dividevamo i cibi  per gustare
il sapore di labbra sorridenti.

Ariodante Marianni da Un amore senile e altre spezie, Book 2008

Ario, Paese di mare, piccolo monotipo su carta

domenica 10 febbraio 2013

Nota di Alfredo Luzi alla raccolta poetica "Un amore senile ed altre spezie"

“L’erotismo è la conferma della vita dentro la morte”
( Georges Bataille, La letteratura e il male)

Un amore senile e altre spezie è un ritratto in versi (versi e immagine svolgono nella tensione espressiva di Ario, poeta e pittore, una funzione sinergica) di un uomo il cui bilancio esistenziale nel declinare dei suoi giorni e nell’incedere dell’ombra è vivificato dal miracolo di un ultimo amore, quasi insperato, capace di trasformare la senilità in un tempo felice di trepide attese.
Il titolo della raccolta è davvero una soglia dalla quale il lettore accede in un edificio poetico costruito sulla consapevolezza di vivere sul crinale di una esperienza in cui l’amore non è “german di giovinezza”, ma una “spezia” che dà sapore al tempo della vecchiaia biologica, che riscatta con il suo turbinio di sensazioni l’inesorabile legge del dispendio e della fine. C’è come una circolarità tematica che congiunge la prima opera poetica di Ariodante, pubblicata nel 1987, De l’amour, e questo Amore senile, un desiderio di sconfiggere Crono ingrediente con il mito dell’eterno ritorno.
Poesie queste ultime come rasserenate, dense, nonostante tutto, di utopia, diverse da quelle raccolte in Stato d’allerta, dove il segno vibrava di indignazione civile ed etica nei confronti di una società moderna disorientata nella sua perdita di valori, risucchiata in una permanente condizione di paura che domina la vita attuale, svuotata di senso, anche se verso la parte finale del volume la forza urticante della critica sociale torna a farsi sentire nel gioco del rovesciamento, del rapporto tra vita privata e vita collettiva, della polemica contro gli OGM e la globalizzazione, della deprivazione lessicale (emblematica la poesia Scontemplazione, un inno al ricorso della “mens contemplatoria”).
Eppure c’è qualcosa che lega questi testi ai precedenti: la procedura ermeneutica e gnoseologica che potrei definire semiotica dello sguardo. Il punto di  contatto tra io e mondo è per Ariodante sempre l’acquisizione visiva di oggetti, figure, paesaggi, treni, dipinti, epifanie sorte da opere letterarie, cinematografiche o teatrali. E’ tutta materia sottratta alla vita e dunque alla sua sorte di morte e salvata dalla forza emblematica, cioè avviluppante, sintetica, della parola poetica.
Attraverso la memoria  culturale di pagine baudelairiane e sveviane, come in Amitié amoureuse, Marianni assevera che “da uno sguardo può nascere un amore”, recupera una suggestione da Miller o da Sereni  (Uno sguardo dal ponte ) per focalizzare nella vena pulsante di un polso “il miracolo della vita”, tratteggia cromaticamente, con la forza iconica del pittore, i luoghi visitati (il lago d’Orta, Scario e il Golfo di Policastro, Shangai e i suoi quartieri) e li trasforma in spazi ritmati dal suo viaggio esistenziale, giungendo fino al punto di recuperare il tema stilnovistico del sorriso, parola-chiave presente in molte composizioni, come traccia amorosa e guida verso la felicità umana. [...]

L'intero intervento critico di Luzi si legge nel libro, uscito per i tipi di Book Editore nel 2008


venerdì 8 febbraio 2013

"Le poète entend le son du mond muet", Hans Richter per Ariodante Marianni

"Le poète entend le son du monde muet. Le peintre voit les formes et les couleurs de l’invisible. L’invisible du monde silencieux c’est le royaume de Ario Marianni."
Hans Richter, 1967

Ario (Ariodante Marianni), Creature, 1964

"Il poeta sente i suoni del mondo muto. Il pittore vede le forme e i colori dell'invisibile. L'invisibile del mondo silenzioso è il regno di Ariodante Marianni"
Hans Richter, 1967