lunedì 20 maggio 2013

Ario e Vittorio. Cartoline da un'amicizia, di Giulio Martinoli

Ariodante Marianni spesso mi raccontava della sua amicizia con Vittorio Sereni: un’amicizia assoluta, più che fraterna, di lungo periodo. Eppure Sereni, aggiungeva sempre Ariodante, non sapeva nulla o quasi nulla della sua attività poetica. Sereni lo conosceva come pittore e come fine traduttore, ma non come poeta. Il pudore che aveva tanto a lungo trattenuto Marianni dall’esporsi lo aveva frenato anche nei confronti dell’amico suo più caro. Tra i due poeti i punti di contatto sono più numerosi di quanto possa sembrare a prima vista: anzitutto la comune scelta di un linguaggio certo innovativo ma anche piano e quasi familiare, secondo una linea che parte da Pascoli e Gozzano (proprio su quest’ultimo verteva la tesi di laurea di Sereni) e arriva sino a Caproni e Pasolini, comprendendo anche i nostri due; ma spesso anche i temi e le atmosfere sono convergenti, benché Marianni, a mio parere, sia più ottimista e filosofo rispetto all’amico.
Ecco una breve poesia di Sereni (Terrazza):

Improvvisa ci coglie la sera.
Più non sai
dove il lago finisca:
un murmure soltanto
sfiora la nostra vita
sotto una pensile terrazza.
Siamo tutti sospesi
a un tacito evento questa sera
entro quel raggio di torpediniera
che ci scruta poi gira sene va.
Il soliloquio dell’insonne
quel credulo appagante almanaccare,
proiezione dei propri desideri
ed esorcismo dall’annientamento,
svapora come il fiato
in un freddo mattino come tenta
di farsi verbo,
come s’incarna in simbolo o metafora,
mosca afferrata al volo
che aperto il palmo è sparita.

Sarebbe interessante vedere pubblicato l’epistolario tra i due amici, per meglio comprendere che cosa li accomunasse e li rendesse quasi complementari tra loro. Ho letto alcune delle lettere di Marianni (pare che quelle di Sereni a lui non siano al momento disponibili): mi sono parse bellissime, piene di affetto, di serena saggezza, di umana comprensione.
All’amico appena morto, Marianni dedicò una delle sue opere forse più alte (Requiem Laico per Vittorio Sereni), in cui lo strazio per la perdita dapprima tracima in rabbia impotente (deglutivo di rabbia, come un uomo tradito,/ con un bisogno assurdo di coprirti d’insulti), per poi gradualmente stemperarsi nell’accettazione dell’addio:

[…] Ho celebrato
Un dolore che è mio e di tutti (tu l’hai
provato), quando accade il delitto;
ma questo devo testimoniarlo: eri un amico
fedele, e io non avevo misurato
il bene che ti volevo. Oh, riposa sereno
nel purgatorio della mia memoria, con tutti
quelli che ho amato e che ho perduto. Amen.


© Giulio Martinoli. Testo scrittoin occasione della cerimonia conclusiva del Premio « Cerruti – Marianni » 2013

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