martedì 13 agosto 2013

Roma illa

a Mario Picchi

Da giorni un verso mi si rigira nella testa
come uno scolaro ancora assonnato
che non si decide a uscire dal letto.
A dargli retta, parafrasando Catullo
e con tanto di dieresi sulla i,
avrei dovuto cominciare questa lettera così:
"Mario, Roma nostra, quella Roma,
Roma che tanto abbiamo amato..."
e con l'amara stizza dell'amante tradito,
andare avanti a forza di rimpianti,
non tralasciando qualche rude epiteto
da marciapiede.
                        "Letteratura a parte -
ha interloquito in tempo il mio Grillo
parlante - lo trovo stupido e ingiusto.
Che vuoi rimpiangerti? i fasti dei gerarchi?
od i nefasti del dopoguerra:
i baraccati a Testaccio e sull'Aniene,
gli stracci a Porta Portese,
la borsa nera e tutte le miserie
celebrate dai film del neorealismo?
E di tuo che lamenti? la stanza in subaffitto
con la finestra sul cortile, o il tram notturno
dalle scuole serali, scatenato nella città
semideserta, che ti svegliava alle curve
con fischi e scossoni? In realtà,
quello che rimpiangete, tu e gli altri tuoi pari,
è, come al solito, il tempo perduto,
la gioventù andata al macero".
Vorrei, ho tentato di ribattere, solo una cosa,
che saprei ancora godermi:
camminare per Roma senza pericolo di morte.
"Giusto - ha insistito - Roma è sporca e caotica,
il gas di scarico del traffico
sbriciola marmi, secca pini, unge pareti,
e si respira con un quarto di polmone.
Ma te la immagini piena di carri,
di tiri a quattro, di cab e barrozze,
con bai, leardi, palafreni e rozze,
asini e muli parcheggiati in ogni angolo?
Passeggeresti più tranquillo?"
Vorrà dire - ho rimbeccato indispettito -
che quando un barbaro a cavallo
del suo Bucefalo ruggente, mi arroterà le spalle
mentre attraverso il Corso sulle strisce,
dirò: ecco un arcangelo che passa;
sono stato sfiorato dalla grazia!

*
Stanotte mi sono svegliato di soprassalto
da un incubo di gente nuda, convulsa,
che scavalcava le transenne, agitando
le braccia, urlando titoli e cifre
contro di me nel box che protestavo
la mia innocenza. Seduto sul letto,
mentre calmavo il batticuore, ho pensato
a Calcutta, Città del Messico, Il Cairo,
e a tutti quegli anelli che circondano,
come aureole, le metropoli del globo,
in cui lontana da Borse e monumenti,
lindi quartieri con viali e giardini,
una reietta umanità cresce i suoi figli
in dormitori di lamiera, fra stenti
e crimini vissuti come destino,
e neri vizi che addolciscono il tempo
di quell'unico vizio che la Natura impone:
sopravvivere, per riprodursi...
Capzioso è il grillo, riflettevo,
col suo irritante buonsenso
che castra speranze e nostalgie;
ma più subdolo è il sogno, e questi pensieri,
che gli vengono dietro senza un nesso.
Forse contengono una chiave.
La gioia è fuggita dalle nostre coscienze;
Roma o Stoccolma, non cambia: la Storia
incombe, la Cina è vicina: il solo esistere
in questa belle époque che non godiamo
ci dà rimorsi senza colpe. E dunque addio
notti brave a Trastevere, scorrerie
lungo l'Appia, tramonti al Pincio, merende
ragionando d'amore in mezzo all'erba,
porgendo orecchio alle favole narrate
dalle foglie e dai merli dietro i ruderi:
Roma non è più nostra, Roma illa.

Roma, 21 ottobre 1988

"Roma illa" è tratta dalle "Lettere oraziane" di  Ariodante Marianni in Una strana gioia, Manni 2003, pp. 75-77