"Nel mio approccio al tradurre, mi sono dovuto liberare anzitutto
di alcuni preconcetti, il primo dei quali è la consunta tesi della
intraducibilità della poesia, la quale deriva dal mito
della traduzione perfetta; cioè dall'idea utopistica che si
possa riprodurre in altra lingua, come per clonazione, il testo
originale. Volenti o nolenti ne siamo tutti in qualche modo
contagiati e condizionati. Scriveva Dante:
E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico
armonizzata si può de la sua loquela in altra trasmutare sanza
rompere tutta la dolcezza e armonia.
Credo che il punto sia proprio qui: l'affermazione dantesca (come
altre analoghe, di autori anche recenti) contiene una verità
talmente evidente che avrebbe dovuto far desistere da tante
discussioni e tanti inutili tentativi e frustrazioni. E poiché il
testo tradotto, per quanti sforzi si facciano, risulterà sempre e
comunque un testo autre, ne consegue il legittimo sospetto che
la vexata quaestio del tradurre, così ricca di "se"
e di "distinguo", sia anche infarcita di molti falsi
problemi che nascono e si riproducono in un puro ambito speculativo:
i veri problemi essendo quelli che si presentano "sul campo",
brano per brano, parola per parola, nel faticoso lavoro di scavo,
selezione, e politura del materiale.
Ma nell'intraprendere una traduzione poetica si presentano
anche tentazioni che spesso è difficile soffocare. La più
perniciosa è quella che induce a mettersi in competizione con
l'autore anziché al servizio suo e del lettore. Altra tentazione,
assai forte, subdola e ardua da allontanare, nasce dal desiderio di
riprodurre la musica dell'originale, cioè i metri e i ritmi,
quando non addirittura le rime. Un'altra ancora, che riguarda in
special modo le traduzioni di autori del passato, è rappresentata
dall'ambizione di riprodurre l'aura storica dell'originale.
Rammento una frase di Giuseppe Pontiggia, in un suo articolo sul
Corriere della sera (19 novembre 1989), che varrebbe la pena
di meditare: "I classici italiani - egli afferma - sono più
popolari all'estero perché vengono tradotti e quindi resi
accessibili in una lingua moderna. Quello che il Boccaccio perde in
espressività lo acquista in leggibilità".
Mi sono avventurato in questa lunga premessa al solo scopo
d'indicare quali siano i presupposti a cui mi affido nell'accingermi
al lavoro di traduzione. L'interpretazione del testo è naturalmente
il nodo centrale e investe problemi di critica esegetica, preliminari
a ogni trasferimento dall'una all'altra lingua. Le maggiori o minori
difficoltà che possono incontrarsi variano, come è intuibile, da
autore ad autore e da poesia a poesia e sono del genere più vario.
Il ricettario da me usato è dei più semplici, e dubito fortemente
che valga la pena di insistervi troppo: letture e riletture del
testo; versione pedissequa, parola per parola, con annotazione di
tutti i possibili significati e sinonimi; e infine paziente
elaborazione del materiale ricavato come se si trattasse di materiale
mio proprio, cercando le mot juste senza aggiungere né
togliere nulla ed evitando le parafrasi, salvo in casi di assoluta
necessità. Uniche regole a cui mi sottopongo sono il rispetto del
verso e della strofa quali elementi strutturali del componimento, in
cui si cala il "pensiero" dell'autore, e di fornire alla
traduzione un andamento ritmico tale da dare al lettore la sensazione
immediata che ciò che sta leggendo è un testo di poesia.
So per amara esperienza che la resa finale, salvo rari e direi
fortunati casi, non ripaga mai interamente tutto il lavoro
impiegato, e che una cosa è tradurre una singola lirica, altra cosa
tradurre un poema o un intero libro di versi. Osservo infine che la
scelta determinante è forse quella compiuta a priori
nell'atto in cui si decide liberamente di tradurre quel tale autore o
quel tale testo, perché lascia presupporre consuetudini a lungo
protratte, affinità elettive studiosamente coltivate o, per
converso, fulmineo innamoramento e desiderio d'appropriazione
dell'oggetto amato, portatore talvolta di mondi alieni dal nostro che
tuttavia oscuramente ci attraggono. Anche se ciò non è sufficiente
a garantire la bontà del risultato, ne è forse una delle condizioni
necessarie. Che per tradurre poesia occorra un poeta è un luogo
comune che non si discute; così come per tradurre narrativa occorre
un narratore e per tradurre i testi d'una qualsiasi scienza
necessitano esperti della materia trattata: una buona traduzione non
è solo questione di lingue a confronto è anche, e soprattutto,
questione di linguaggi."
Stralcio dalla Prolusione di Ariodante Marianni al PREMIO MONSELICE 2006