martedì 16 febbraio 2016

"Rispetto del verso e della strofa"


"Nel mio approccio al tradurre, mi sono dovuto liberare anzitutto di alcuni preconcetti, il primo dei quali è la consunta tesi della intraducibilità della poesia, la quale deriva dal mito della traduzione perfetta; cioè dall'idea utopistica che si possa riprodurre in altra lingua, come per clonazione, il testo originale. Volenti o nolenti ne siamo tutti in qualche modo contagiati e condizionati. Scriveva Dante:

E però sappia ciascuno che nulla cosa per legame musaico armonizzata si può de la sua loquela in altra trasmutare sanza rompere tutta la dolcezza e armonia.

Credo che il punto sia proprio qui: l'affermazione dantesca (come altre analoghe, di autori anche recenti) contiene una verità talmente evidente che avrebbe dovuto far desistere da tante discussioni e tanti inutili tentativi e frustrazioni. E poiché il testo tradotto, per quanti sforzi si facciano, risulterà sempre e comunque un testo autre, ne consegue il legittimo sospetto che la vexata quaestio del tradurre, così ricca di "se" e di "distinguo", sia anche infarcita di molti falsi problemi che nascono e si riproducono in un puro ambito speculativo: i veri problemi essendo quelli che si presentano "sul campo", brano per brano, parola per parola, nel faticoso lavoro di scavo, selezione, e politura del materiale.

Ma nell'intraprendere una traduzione poetica si presentano anche tentazioni che spesso è difficile soffocare. La più perniciosa è quella che induce a mettersi in competizione con l'autore anziché al servizio suo e del lettore. Altra tentazione, assai forte, subdola e ardua da allontanare, nasce dal desiderio di riprodurre la musica dell'originale, cioè i metri e i ritmi, quando non addirittura le rime. Un'altra ancora, che riguarda in special modo le traduzioni di autori del passato, è rappresentata dall'ambizione di riprodurre l'aura storica dell'originale. Rammento una frase di Giuseppe Pontiggia, in un suo articolo sul Corriere della sera (19 novembre 1989), che varrebbe la pena di meditare: "I classici italiani - egli afferma - sono più popolari all'estero perché vengono tradotti e quindi resi accessibili in una lingua moderna. Quello che il Boccaccio perde in espressività lo acquista in leggibilità".

Mi sono avventurato in questa lunga premessa al solo scopo d'indicare quali siano i presupposti a cui mi affido nell'accingermi al lavoro di traduzione. L'interpretazione del testo è naturalmente il nodo centrale e investe problemi di critica esegetica, preliminari a ogni trasferimento dall'una all'altra lingua. Le maggiori o minori difficoltà che possono incontrarsi variano, come è intuibile, da autore ad autore e da poesia a poesia e sono del genere più vario. Il ricettario da me usato è dei più semplici, e dubito fortemente che valga la pena di insistervi troppo: letture e riletture del testo; versione pedissequa, parola per parola, con annotazione di tutti i possibili significati e sinonimi; e infine paziente elaborazione del materiale ricavato come se si trattasse di materiale mio proprio, cercando le mot juste senza aggiungere né togliere nulla ed evitando le parafrasi, salvo in casi di assoluta necessità. Uniche regole a cui mi sottopongo sono il rispetto del verso e della strofa quali elementi strutturali del componimento, in cui si cala il "pensiero" dell'autore, e di fornire alla traduzione un andamento ritmico tale da dare al lettore la sensazione immediata che ciò che sta leggendo è un testo di poesia.

So per amara esperienza che la resa finale, salvo rari e direi fortunati casi, non ripaga mai interamente tutto il lavoro impiegato, e che una cosa è tradurre una singola lirica, altra cosa tradurre un poema o un intero libro di versi. Osservo infine che la scelta determinante è forse quella compiuta a priori nell'atto in cui si decide liberamente di tradurre quel tale autore o quel tale testo, perché lascia presupporre consuetudini a lungo protratte, affinità elettive studiosamente coltivate o, per converso, fulmineo innamoramento e desiderio d'appropriazione dell'oggetto amato, portatore talvolta di mondi alieni dal nostro che tuttavia oscuramente ci attraggono. Anche se ciò non è sufficiente a garantire la bontà del risultato, ne è forse una delle condizioni necessarie. Che per tradurre poesia occorra un poeta è un luogo comune che non si discute; così come per tradurre narrativa occorre un narratore e per tradurre i testi d'una qualsiasi scienza necessitano esperti della materia trattata: una buona traduzione non è solo questione di lingue a confronto è anche, e soprattutto, questione di linguaggi."
 
Stralcio dalla Prolusione di Ariodante Marianni al PREMIO MONSELICE 2006