"La responsabilità personale" è una delle nove Lettere oraziane di Ariodante Marianni, poesie o meglio poemetti civili di raro acume e di profondo pensiero. E' indirizzata a Nelo Risi, per molti anni amico del poeta e "narra" di una discussione pre-elettorale" e della volontà del poeta di compiere, pur con amara consapevolezza, tutto il proprio dovere di cittadino.
Nelo, ci chiamano ai comizi un'altra
volta; i necrofori approntano le urne
e già nell'aria è il tanfo dei cadaveri
delle nostre speranze...
Si chiacchierava
di bassa politica: scippi, baratterie,
lottizzazioni, mafie all'interno dei partiti,
e gli altri marchingegni del mestiere
di chi governa, in questo scorcio di millennio,
le nostre sorti e la rabbia impotente,
quando uno (il tipico paracattolico apostata
che ben conosci) all'improvviso,
arcigno e accusatorio ci imbavaglia:
"inutile discutere: siamo colpevoli tutti!".
Gli altri annuivano convinti. Ma io sentivo,
dallo stanzino buio, un ragazzino protestare;
batteva i piedi e strillava: "non è vero!
io non sono stato!" e da sotto la porta
faceva scivolare un foglietto con scritto:
uno, barra, quarantatremilioni.
- Specula? froda il fisco? intasca
tangenti? Dice: "lo fanno tutti".
Ti soffia il posto? ti sorpassa da destra?
Calmo, ti spiega: "la vita è una jungla!".
Traffica armi? Le risposta è pronta;
ed è un altro bavaglio, anche più stretto.
Così, tra chi fa mostra di percuotersi il petto
e chi sceglie per legge il malcostume,
il terzo gode (si fa per dire) e assume
a Padre e Capro l'impalpabile ente,
onnipossente per definizione,
che un tempo usavano chiamare l'Essere,
e adesso ha il nome del suo laico vago
participio passato. Già, lo stato;
anzi: lo Stato (la maiuscola è d'obbligo) -
"Ma è la solita solfa!, fece un altro,
"la questione morale! Via, ragazzi:
lo sappiamo ormai tutti:
in politica è solo un deterrente
per ricattare!". Si scatenò la bagarre,
ciascuno voleva dire la sua:
parlavano urlando, tutti insieme,
tra una boccata e l'altra di sigaretta,
agitando i bicchieri come se fossero bombe
(mi venne in mente Leopardi, i suoi Caffè
napoletani). Qualcuno, intanto, per distrarci
aveva acceso la radio. Una voce nasale,
professorale, un dotto neuro-filosofo,
parlava delle utopie: "dai desideri nasce
la speranza, diceva, e questa genera la fede.
Si desidera il meglio e lo si crede possibile.
Ma tutto avviene in un solo emisfero,
l'altro è estraneo al processo.
La Storia cammina come può:
a due, a tre, a quattro zampe, secondo
le stagioni, come insegnava la Sfinge..."
fu un momento di stanca. Una ragazza
azzardò a mezza voce: "a me il problema
sembra più vasto e generale: riguarda
il senso civico, la responsabilità personale".
Le rispose uno scoppio d'allegria:
l'inattesa catarsi. In quattro o cinque,
le fecero circolo, cantando:
Tapina ancora non sai
che la morale borghese
scagiona l'individuo
per non turbare il paese?
Tagliai la corda. mentre varcavo la porta,
girai la testa: uno ancora rideva,
uno, mezzo assonnato, sbadigliava.
Dallo stanzino buio, il ragazzino
tempestava di pugni l'uscio chiuso:
"maledetti!", strillava, "vi odio tutti,
qui si soffoca, lasciatemi uscire!"
Fra tre giorni si vota. Voterò "contro",
come sempre, deglutendo sorsi di rabbia
impotente. Andrò al seggio serio e compunto,
prenderò il mio foglietto; traccerò il segno
senza esitare: la mia quarantatré-
milionesima parte di volontà popolare.
Roma, 11 giugno 1987