Conferenza
a “Tuttilibri”, Roma 7 aprile 1994
In
un saggio del 1937, "Introduzione generale alla mia Opera",
Yeats afferma che un poeta scrive sempre della propria vita, delle
sue tragedie, qualunque esse siano, rimorso, amore perduto, o mera
solitudine, ma che non parla mai direttamente come si fa con qualcuno
a colazione, perché c’è sempre una “fantasmagoria”. Dante e
Milton avevano le loro mitologie, Shakespeare i personaggi della
storia inglese e dei racconti tradizionali, ma anche quando il poeta
sembra più se stesso non è mai “quell’ammasso di accidentalità
e incoerenza” che siede a tavola a mangiare con voi. Un narratore
può descrivere tutte le accidentalità e le incoerenze che vuole; il
poeta no, egli è più tipo che uomo, più passione che tipo. Egli è
Lear, Romeo, Edipo, Tiresia. Come se fosse uscito da un dramma, è
parte integrante della sua fantasmagoria. Ma quando scrive deve saper
governare le proprie emozioni, oggettivarle; Yeats non ha dubbi, in
proposito: “tutto ciò che è personale marcisce presto; dev’essere
conservato nel ghiaccio o nel sale”. Quanto allo stile, esso é
inconscio: “Io so quel che ho tentato di fare, poco ciò che ho
fatto (egli dice); mi sono proposto di scrivere liriche brevi o
drammi poetici in cui ogni parola doveva essere breve e concentrata,
cercando di far coincidere il linguaggio della poesia con un discorso
normale e appassionato, di scrivere in quel linguaggio che viene
naturale nei soliloqui che facciamo tutto il giorno sugli avvenimenti
della nostra vita o delle vite in cui ci rispecchiamo in quel
momento”.
Pur
ricordando che Yeats scriveva queste riflessioni verso la fine della
sua carriera di artista e di uomo, mentre tenevano il campo
generazioni successive alla sua (Eliot e Pound, Auden e Dylan Thomas,
per fare qualche nome), la sua posizione sembra trascendere la pura
difesa del proprio modo di scrivere per investire l’eterna polemica
tra chi vive il presente vedendo in esso una continuità del passato
e chi lo vive ripudiando ogni eredità, e, impaziente di agire, volta
le spalle a una visione più complessa della storia e del mondo. Con
altre parole, Yeats sostiene ciò che pensano molti, ossia che
l’originalità (la personalità, la statura) di un autore non va
cercata nelle novità esteriori dell’opera, ma nella ricchezza e
nella complessità delle cose che dice e nell’eco profonda che
suscita in chi ne fruisce.
Riguardo
a Yeats, Giorgio Melchiori, il nostro più autorevole anglista –
che pure non ha passato sotto silenzio “le innegabili ombre e
penombre di una mente aperta alle influenze più varie e improbabili
quando gli si presentavano in forma di suggestione immaginifica” –
si è espresso con molta decisione: “In Yeats si riconosce ormai la
maggiore voce poetica di lingua inglese degli ultimi cento anni, e
v’è chi è pronto ad estendere il confine temporale addirittura a
trecento anni, rispettando solo la grandezza di uno Shakespeare, di
un Milton, di un John Donne. E non mette conto avanzare la
considerazione che Yeats è poeta irlandese, e perciò a suo modo
provinciale, appartenente a una letteratura ‘minore’. La
grandezza di Yeats si manifesta proprio nella sua miracolosa capacità
di superare con la sua istintiva forza e quasi violenza di poesia
ogni remora o confine di tradizione, di nazionalità, di credo
religioso, politico, filosofico”.
Una
rapida scorsa ai dati biografici, soprattutto del periodo giovanile,
può aiutare a chiarire i motivi delle “ombre e penombre” a cui
il critico accenna e che hanno ostacolato, in passato, la piena
accettazione dell’opera yeatsiana. Esse sono fortemente legate al
suo sviluppo verso la maturità e investono i due più conclamati
interessi che egli coltivò e che gli fornirono materia d’impegno
civile e tanta autentica poesia: quello “nazionalistico” per la
lotta per l’indipendenza dell’Irlanda, che Yeats condusse sul
piano della cultura e lo portò ad approfondire lo studio della
mitologia e delle credenze popolari irlandesi, e l’altro, più
discusso e arduo da capire, l’interesse per l’occultismo e le
pratiche esoteriche.
Illuminante
il giudizio di Eliot: “Ci sono poeti la cui poesia può essere
considerata più o meno isolata, per l’esperienza che vi si trova e
il piacere che trasmette. Ce ne sono altri la cui poesia ha
un’importanza storica più ampia. Yeats è uno di questi ultimi; è
uno di quei pochi la cui storia è la storia del proprio tempo, e che
fanno parte della coscienza di un’ epoca che, senza di loro, non
può essere capita”.
[...]
[...]
Yeats |
Il testo integrale si può leggere nel volume LA POESIA E LA VITA. Ariodante Marianni dieci anni dopo a cura di Eleonora Bellini (Fermenti Editrice 2017), disponibile nelle migliori librerie on line e presso l'editore.