domenica 22 luglio 2018

Introduzione a Yeats, di Ariodante Marianni

Conferenza a “Tuttilibri”, Roma 7 aprile 1994

In un saggio del 1937, "Introduzione generale alla mia Opera", Yeats afferma che un poeta scrive sempre della propria vita, delle sue tragedie, qualunque esse siano, rimorso, amore perduto, o mera solitudine, ma che non parla mai direttamente come si fa con qualcuno a colazione, perché c’è sempre una “fantasmagoria”. Dante e Milton avevano le loro mitologie, Shakespeare i personaggi della storia inglese e dei racconti tradizionali, ma anche quando il poeta sembra più se stesso non è mai “quell’ammasso di accidentalità e incoerenza” che siede a tavola a mangiare con voi. Un narratore può descrivere tutte le accidentalità e le incoerenze che vuole; il poeta no, egli è più tipo che uomo, più passione che tipo. Egli è Lear, Romeo, Edipo, Tiresia. Come se fosse uscito da un dramma, è parte integrante della sua fantasmagoria. Ma quando scrive deve saper governare le proprie emozioni, oggettivarle; Yeats non ha dubbi, in proposito: “tutto ciò che è personale marcisce presto; dev’essere conservato nel ghiaccio o nel sale”. Quanto allo stile, esso é inconscio: “Io so quel che ho tentato di fare, poco ciò che ho fatto (egli dice); mi sono proposto di scrivere liriche brevi o drammi poetici in cui ogni parola doveva essere breve e concentrata, cercando di far coincidere il linguaggio della poesia con un discorso normale e appassionato, di scrivere in quel linguaggio che viene naturale nei soliloqui che facciamo tutto il giorno sugli avvenimenti della nostra vita o delle vite in cui ci rispecchiamo in quel momento”.
Pur ricordando che Yeats scriveva queste riflessioni verso la fine della sua carriera di artista e di uomo, mentre tenevano il campo generazioni successive alla sua (Eliot e Pound, Auden e Dylan Thomas, per fare qualche nome), la sua posizione sembra trascendere la pura difesa del proprio modo di scrivere per investire l’eterna polemica tra chi vive il presente vedendo in esso una continuità del passato e chi lo vive ripudiando ogni eredità, e, impaziente di agire, volta le spalle a una visione più complessa della storia e del mondo. Con altre parole, Yeats sostiene ciò che pensano molti, ossia che l’originalità (la personalità, la statura) di un autore non va cercata nelle novità esteriori dell’opera, ma nella ricchezza e nella complessità delle cose che dice e nell’eco profonda che suscita in chi ne fruisce.
Riguardo a Yeats, Giorgio Melchiori, il nostro più autorevole anglista – che pure non ha passato sotto silenzio “le innegabili ombre e penombre di una mente aperta alle influenze più varie e improbabili quando gli si presentavano in forma di suggestione immaginifica” – si è espresso con molta decisione: “In Yeats si riconosce ormai la maggiore voce poetica di lingua inglese degli ultimi cento anni, e v’è chi è pronto ad estendere il confine temporale addirittura a trecento anni, rispettando solo la grandezza di uno Shakespeare, di un Milton, di un John Donne. E non mette conto avanzare la considerazione che Yeats è poeta irlandese, e perciò a suo modo provinciale, appartenente a una letteratura ‘minore’. La grandezza di Yeats si manifesta proprio nella sua miracolosa capacità di superare con la sua istintiva forza e quasi violenza di poesia ogni remora o confine di tradizione, di nazionalità, di credo religioso, politico, filosofico”.
Una rapida scorsa ai dati biografici, soprattutto del periodo giovanile, può aiutare a chiarire i motivi delle “ombre e penombre” a cui il critico accenna e che hanno ostacolato, in passato, la piena accettazione dell’opera yeatsiana. Esse sono fortemente legate al suo sviluppo verso la maturità e investono i due più conclamati interessi che egli coltivò e che gli fornirono materia d’impegno civile e tanta autentica poesia: quello “nazionalistico” per la lotta per l’indipendenza dell’Irlanda, che Yeats condusse sul piano della cultura e lo portò ad approfondire lo studio della mitologia e delle credenze popolari irlandesi, e l’altro, più discusso e arduo da capire, l’interesse per l’occultismo e le pratiche esoteriche.
Illuminante il giudizio di Eliot: “Ci sono poeti la cui poesia può essere considerata più o meno isolata, per l’esperienza che vi si trova e il piacere che trasmette. Ce ne sono altri la cui poesia ha un’importanza storica più ampia. Yeats è uno di questi ultimi; è uno di quei pochi la cui storia è la storia del proprio tempo, e che fanno parte della coscienza di un’ epoca che, senza di loro, non può essere capita”. 
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Yeats
 
Il testo integrale si può leggere nel volume LA POESIA E LA VITA. Ariodante Marianni dieci anni dopo a cura di Eleonora Bellini (Fermenti Editrice 2017), disponibile nelle migliori librerie on line e presso l'editore.