quest’anno mi è stato affidato (e tu sai da chi...) l’onere, che per me è soprattutto un onore, di ricordare la tua illustre figura.
Ti confesso che non amo particolarmente le commemorazioni pubbliche, men che meno i coccodrilli. Parlare poi coram populo di persone a cui sono legato da sentimenti d’affetto mi riesce assai difficile: si rischia sempre di rimanere invischiati nelle panie della retorica o di cadere vittime di quella che mi piace chiamare la sindrome dell’ultima bugia (com’era buono, com’era bello, quanto era santo...).
Ho pensato allora di ricordarti agli altri scrivendoti una lettera: del resto i toni colloquiali e l’ironia sono peculiarità che appartengono alla tua opera, o mi sbaglio?
Comincerò quindi , come si conviene, dalle notizie biografiche. Nasci a Napoli, nei primi anni Venti del secolo scorso, per caso, nel senso che la tua famiglia è romana e si è trasferita all’ombra del Vesuvio per motivi di lavoro. Credo non ti sia dispiaciuto vedere la luce accarezzato dalla brezza del Tirreno, che proprio lì custodisce le spoglie del poeta Virgilio.
Ancora bambino, dopo la scomparsa di tuo padre, torni nell’Urbe dove rimani fino all’età matura; quindi te ne vai a Bracciano e, in vecchiaia, decidi, fortunatamente, di venire a Borgo Ticino.
Qui a Borgo ti vedo per la prima volta nel marzo del 2004. È una giornata strana che si rasserena verso sera, dopo una sorprendente nevicata. E di sera appunto ci conosciamo in biblioteca: tu presenti un libro di Eleonora, Fuori dal nido, Paolo, un mio caro amico, presenta la mia seconda raccolta di poesie, Anima memor. Scambiamo due parole alla fine, ma la mia timidezza mi impedisce di approfondire la reciproca conoscenza, nonostante la tua affabilità.
Non ho ancora parlato della tua attività artistica che spazia dalla letteratura alla pittura e quindi faccio un passo indietro. Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento ti fai chiamare Ario e sei protagonista della stagione dell’Astrattismo romano. Diventi segretario di Ungaretti, traduci i poeti anglofoni: gli americani Whitman, E. Dickinson e W.C. Williams, l’inglese W. Auden, il gallese Dylan Thomas e, soprattutto, tutte le opere in versi dell’irlandese William Butler Yeats per i Meridiani Mondadori, impresa che ti costerà vent’anni di lavoro.
E che dire delle tue amicizie? Ungaretti, come detto, ma anche Calvino, Solmi, Luzi, Nelo Risi e molti altri personaggi illustri della nostra cultura. Ah, dimenticavo: sei stato anche nell’ufficio stampa del Festival dei Due Mondi di Spoleto, ideato da Giancarlo Menotti, che fece fortuna negli States, ma che nacque a un passo dal Ceresio, a Cadegliano Viconago, dove da anni vivono i miei genitori (e questa è una cosa di cui ti volevo parlare, ma non ne ho avuto il tempo...).
Il nostro secondo incontro, manco a dirlo, avviene ancora in biblioteca a Borgo: è la fine del 2006 o l’inizio del 2007. Eleonora ci presenta: ti scegliamo, con entusiasmo, come presidente della giuria della II edizione del Premio Cerruti.
A febbraio ci ritroviamo da voi con tutta la giuria: è un martedì grasso bellissimo, una serata serena e dolce, durante la quale, mentre si discute per scegliere i vincitori del concorso, finalmente riesco a scoprirti come uomo. Le distanze all’improvviso si accorciano, i timori svaniscono e ti vedo nella grandezza del tuo essere. La tua umiltà e la tua passione mi colpiscono, mi abbagliano così come la tua voce calma, profonda.
Il 3 marzo è in programma un’altra presentazione di libri. Il mio amico Paolo, per impegni di lavoro, mi comunica solo qualche giorno prima che non potrà esserci e così rimango senza presentatore per il mio Archeolemmi. Tu lo vieni a sapere e ti offri di aiutarmi senza titubanze, io non riesco a crederci: sei anche generoso. Quel sabato di marzo pieno di sole non lo dimenticherò mai. La tua presentazione del mio libro fa vibrare tutte le corde del mio cuore. Il mio affetto per te aumenta in maniera esponenziale, perché ti sento molto vicino. Quello che mi colpisce è l’energia che ti pervade: sei vivo e vitale, appassionato e lucido. Prima di allora credevo che i tuoi versi contro Ovidio (denigratore dell’amore senile) fossero di maniera, una citazione colta per esperti; ora comprendo che non è così: tu ami, e lo fai con tutto te stesso, come è giusto che sia, come comanda amore, come fa chiunque sia veramente e profondamente innamorato.
Mi elogi pubblicamente, dopo aver precisato che sono cresciuto dal punto di vista letterario dal 2004. Sono felice e convinto che la tua presenza nella mia vita sia un dono preziosissimo.
Ci rivediamo -nei giorni seguenti- un paio di volte ed è sempre una scoperta: ti faccio mille domande a cui tu rispondi sempre sereno, con un entusiasmo che mi travolge.
Arriva l’ultima settimana di marzo, sono in pausa pranzo, un messaggio fa trillare sinistramente il mio cellulare: Ario se n’è andato...Mi ronzano le orecchie, tremo come una foglia, ma Saffo non c’entra: ho perso un amico, un maestro, un uomo vero. Dolore, rabbia, impotenza. Ma la falce che tutte l’erbe pareggia non risparmia nessuno, nemmeno te, dolce principe. Finisco qui, non voglio ricordare oltre quelle ore.
Di te restano i quadri, le traduzioni, le poesie, i contributi critici, le foto e le immagini televisive: un patrimonio culturale enorme e prezioso. A noi che abbiamo avuto la fortuna di conoscerti e amarti rimane molto di più: il tepore avvolgente di un’anima grande che non ci lascerà mai.
Ario, è tempo che mi congedi; salutandoti ti dico che, quando questo mio strano ricordo capiterà nelle mani di qualche lettore (presumibilmente il giorno della premiazione dei vincitori della V edizione del Premio Cerruti e della III del premio a te dedicato), io sarò appena ritornato dal Verano, non prima di aver lasciato, dinanzi alle tue spoglie, un fiore fresco ed un caldo sorriso: li hai graditi?
Stammi bene, amico mio!
Tuo Paride
Borgo Ticino, 3 marzo 2010
Dal quaderno del Premio Letterario Nazionale
"Antonio Cerruti - Ariodante Marianni"
2010