Stacco l’ultimo foglio del vecchio anno
e a mezzanotte, come gli altri, stappo
la mia bottiglia; ma non lo scaccio
con botti o lancio di cocci
né per speciali favori lo ringrazio:
io brindo a lui che m’ha lasciato indenne.
M’ha lasciato le braccia,
le gambe e i piedi e tutte e due le mani
e, col torso, la testa,
gli occhi, il naso e le orecchie;
e, se completo l’inventario, attesto
che, compatibilmente
con i dati anagrafici e lo specchio,
tutto funziona passabilmente.
Quanto all’anno venturo, fisso il nuovo
lunario, e mi attengo a quel detto
di Charlie Chan (era in un vecchio film):
"non pensare al futuro, arriva presto".
da Stato d'allerta (Manni Editore, 2002)
Questo blog si propone di essere un costante omaggio all'uomo, al poeta, all'artista. Viene riaperto a seguito della chiusura da parte di splinder del precedente blog "storico".
venerdì 26 dicembre 2014
martedì 11 novembre 2014
PITTURA E POESIA, intervista ad Ariodante Marianni
Fino dall’adolescenza tu hai molto amato e molto letto poesie e
addirittura interi poemi, anche di autori "minori". Hai anche scritto
numerose composizioni poetiche. Poi, ad un certo momento, la poesia, almeno
quella scritta, in te tacque e prese forma e colori la pittura. Come avvenne
questo?
La pittura era stata un po’ il mio sogno da ragazzo, ma dipingere era
costoso e richiedeva tempo e spazio. Dopo la fine della rivista Marsia, nel
1960, e un po’ anche in seguito all'incontro e all'amicizia con Alfredo
Giuliani e i poeti della neo-avanguardia, entrai in crisi con la parola; smisi
di scrivere poesie, mi limitai a tradurne. Ma gli stimoli creativi non per
questo cessarono e il ricorso ai pennelli e ai colori fu conseguente.
Tuttavia i rapporti con la letteratura, e la poesia in primis,
rimasero stretti ed evidenti anche nel periodo della tua attività pittorica…
Sì, certo. La mia prima mostra personale, alla Libreria Einaudi in via
Veneto, fu un “Omaggio a Dylan Thomas” e fu del maggio 1966, l’anno dopo
l’uscita della mia traduzione. Anche la seconda mostra, nel ‘70, mista di
dipinti su tela e monotipi su carta, tenuta sempre a Roma alla Galleria “Il
Segno” di Angelica De Chirico non era esente da suggestioni extra-pittoriche in
senso stretto. Lo dichiarai nell’auto-presentazione che scrissi in quella
occasione e che, per quanto riguarda i monotipi, fu accompagnata da uno scritto
di Hans Richter .
Facciamo un passo indietro. Vuoi raccontarci altro a proposito della tua
primissima iniziazione allo studio della pittura che, mi pare, fu alle origini
altrettanto precoce di quella allo studio letterario, se non di più.
Durante la scuola media, il preside della scuola, che era un pittore, andato
in pensione, scelse i più bravi in disegno e due volte la settimana ci dava nel
pomeriggio lezioni di pittura. Lì imparai l'abc, la grammatica del disegno e
della pittura, come si impastano i colori, come si prepara una tela, e come si
dipinge. Ci faceva copiare dal vero, ci iniziò alla pittura a olio, ci faceva
riprodurre fotografie, cartoline, paesaggi... Poi, nel primo dopoguerra,
frequentai anche un corso di nudo al Circolo Artistico Internazionale di Via
Margutta. Ma i tempi erano cambiati e l’astrattismo imperava imponendo altri
modi. Ricordo che ricominciai usando pennelli cinesi su grandi fogli con
inchiostri di china colorati. L'ultima poesia la scrissi per il mio
quarantesimo compleanno e dopo allora niente più, per vent’anni. La pittura
d’altronde mi dava soddisfazioni, era un vero lavoro, feci altre mostre personali,
partecipai a collettive, ebbi a Livorno un gallerista, Giraldi, che mi
acquistava due quadri al mese. Mi esprimevo con grande libertà; ai monotipi
seguì un periodo di pittura geometrizzante incentrato sull’indagine della
casualità, quindi quello dei “fragmenta labyrinthi”; infine, abbandonate tele e
pennelli, le mie due ultime due personali, a Bologna e a Bari, furono di
immagini fotografiche allegoriche. La letteratura, cacciata dalla porta,
rientrava dalla finestra…
E gli altri artisti, gli altri pittori? Chi ti ha maggiormente
influenzato, in chi ti sei riconosciuto? Chi frequentavi? Ti fa piacere
ricordarcelo?
Gli anni sessanta, come sa chi li ha vissuti, furono a Roma anni di grande
fermento intellettuale e, fra gli artisti, di grande comunicativa e apertura.
Mio amico e per certi aspetti maestro fu Piero Dorazio, ci vedevamo
spessissimo, prima che si trasferisse a Todi, nel suo studio alla Valchetta
Cartoni, o, insieme ad altri, Perilli, Turcato, nella mitica stamperia di Renzo
e Flavia Romero, a due passi da Piazza del Popolo. Ma prima ancora, negli anni
’50, avevo stretti legami con Armando Buratti e il gruppo di “Portonaccio”. Gli
anni passano veloci. Quanto a influssi veri e propri, ma parlerei piuttosto di
suggestioni, credo che fossero i grandi del passato, Klee, in primo luogo, e
Kandinskj, ma in qualche modo anche Mondrian e Malevic a darmene di più.
Tuttavia, anche per il doppio binario con la letteratura e la poesia, il mio fu
un percorso tutto sommato piuttosto autonomo e solitario.
Quanto al tuo nome in pittura: perché Ario, anziché Ariodante Marianni
per intero?
Forse per rimarcare la diversità dal lavoro letterario. Ario è il nome con
cui mi chiamano gli amici. Cominciai a usarlo nella seconda mostra personale
alla galleria “Il segno” di Roma, mostra di transizione perché comprendeva sia
monotipi che tele con composizioni geometrizzanti ricavate col metodo del “coup
de dès”, come spiegavo nell’autopresentazione. Aggiungo che da un “quadro –
madre” così composto ritagliavo zone che diventavano a loro volta composizioni
autonome.
Recentemente, dopo tanti anni di “ritiro” letterario, sono state
riproposti in mostra i tuoi monotipi. Come li hai rivisti? Che significato
hanno assunto ora per te?
E’ alla Fondazione Marazza di Borgomanero e anche a te che devo questa
“riesumazione”, e, in quanto sua artefice, hai potuto davvero toccare con mano
con che entusiasmo io ne abbia seguito le fasi e l’attuazione. E’ stata la
riscoperta di un io fecondo e dimenticato. Con tutto il distacco che dà il
lungo tempo passato, diciamo che mi sono guardato indietro e mi sono
compiaciuto.
PITTURA E POESIA Intervista di Eleonora Bellini ad Ariodante Marianni da Pagina Picta, 2005
martedì 7 ottobre 2014
Due poesie da "Un amore senile e altre spezie"
La poesia d’apertura del libro
TURPE SENILIS AMOR
(Ov., Amores, I, IX, 4)
No, Ovidio, erravi
(non ne avevi esperienza)
quando si è amati è senza
aggettivi ed età:
si dice amore,
semplicemente, unicamente amore.
e quella che ne chiude la prima parte
SE QUALCOSA DEI MIEI VERSI
Se qualcosa dei miei versi
sopravvivrà nel tempo,
sorprenderà il lettore
l’allegra furia giovanile
di quest’amore così nudo e crudo.
(Danzava, Socrate, nella sua prigione,
aspettando la coppa di cicuta).
Ariodante Marianni, Un amore senile e altre spezie, Book 2008
alcuni commenti
Queste ultime poesie d’amore di Ariodante trasudano tenerezza e luce. Un libro di attese e di partenze,ma soprattutto di ritorni nel nome dell’amore.Il grande amore che non muore in mezzo alle cose che muoiono.Leggetelo vi farà venire brividi di passione eterna. (Nicola Vacca)
Ecco, mi ha sorpresa piacevolmente, molto piacevolmente questa lettura mattutina delle poesie di Ariodante Marianni che ho conoscevo solo di fama. Le rileggerò perché sono cariche di voglia di vivere e limpide nonostante l’età, come erano gli amori adolescenti di una volta.(Sandra Palombo)
Nel rumore di questi treni che vanno e vengono, assaporo ogni volta tutta la bellezza di un animo nobile e gentile. Il fascino della trepidazione e della tenerezza che vive e cresce nelle attese, nei ritorni, nelle partenze. (Maria Pina Ciancio)
TURPE SENILIS AMOR
(Ov., Amores, I, IX, 4)
No, Ovidio, erravi
(non ne avevi esperienza)
quando si è amati è senza
aggettivi ed età:
si dice amore,
semplicemente, unicamente amore.
e quella che ne chiude la prima parte
SE QUALCOSA DEI MIEI VERSI
Se qualcosa dei miei versi
sopravvivrà nel tempo,
sorprenderà il lettore
l’allegra furia giovanile
di quest’amore così nudo e crudo.
(Danzava, Socrate, nella sua prigione,
aspettando la coppa di cicuta).
Ariodante Marianni, Un amore senile e altre spezie, Book 2008
alcuni commenti
Queste ultime poesie d’amore di Ariodante trasudano tenerezza e luce. Un libro di attese e di partenze,ma soprattutto di ritorni nel nome dell’amore.Il grande amore che non muore in mezzo alle cose che muoiono.Leggetelo vi farà venire brividi di passione eterna. (Nicola Vacca)
Ecco, mi ha sorpresa piacevolmente, molto piacevolmente questa lettura mattutina delle poesie di Ariodante Marianni che ho conoscevo solo di fama. Le rileggerò perché sono cariche di voglia di vivere e limpide nonostante l’età, come erano gli amori adolescenti di una volta.(Sandra Palombo)
Nel rumore di questi treni che vanno e vengono, assaporo ogni volta tutta la bellezza di un animo nobile e gentile. Il fascino della trepidazione e della tenerezza che vive e cresce nelle attese, nei ritorni, nelle partenze. (Maria Pina Ciancio)
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martedì 12 agosto 2014
Fra le vittime dell'incursione all'alba si trovava un uomo di cent'anni, di Dylan Thomas (trad. di Ariodante Marianni)
When the morning was waking over the war
He put on his clothes and stepped out and he died,
The locks yawned loose and a blast blew them wide,
He dropped where he loved on the burst pavement stone
And the funeral grains of the slaughtered floor.
Tell his street on its back he stopped a sun
And the craters of his eyes grew springshots and fire
When all the keys shot from the locks, and rang.
Dig no more for the chains of his grey-haired heart.
The heavenly ambulance drawn by a wound
Assembling waits for the spade's ring on the cage.
O keep his bones away from the common cart,
The morning is flying on the wings of his age
And a hundred storks perch on the sun's right hand.
Mentre il mattino si svegliava sopra la guerra,
Indossò i suoi vestiti, varcò la soglia e morì;
Le serrature allentate saltarono a uno scoppio:
Cadde lì dove amò, sul marciapiede esploso,
Nella funebre polvere del suolo massacrato.
Dite alla strada capovolta che egli arrestò un sole
E eruttò fiamme e virgulti dai crateri degli occhi
Quando tutte le chiavi caddero dalle toppe e tintinnarono.
Non scavate più per le catene del suo cuore canuto.
L'ambulanza del cielo tratta da una ferita
Aspetta, radunando, il suono della vanga sulla gabbia.
Oh, tenete lontane le sue ossa da quel carro comune;
Il mattino s'invola sulle ali dei suoi anni
E cento cicogne si posano alla destra del sole.
Riportiamo qui di seguito le note di Ariodante Marianni alla poesia, utili per approfondire la lettura:
v. 3: "The locks". Le serrature, come più oltre le chiavi e le catene, simboleggiano i legami che tenevano unito il corpo del vecchio. v. 6: "He stopped a sun". Fermò un sole perché da quel momento il sole non brillò più per lui. E' però probabile che "sun" stia per "bomba" e che la frase sia una alterazione dell'espressione slang "to stop a bullet", letteralmente "fermare un proiettile", col significato di esserne colpito. v. 10: "Drawn by a wound". "Wound" (ferita) è parola usatissima da Thomas con varie intenzioni. Il Tindall pensa che qui possa riferirsi al Cristo, detto altrove "world's wound". "Drawn" ha vari significati; i due più probabili in questo contesto sono "tirata" e "chiamata"; usando "tratta" si è inteso conservare nella traduzione un po' dell'ambiguità presente nell'originale, acquistando il senso di "assembramento di feriti", come traduce Bigongiari. Mi sono allontanato da questa pur valida interpretazione principalmente per due motivi: che si avrebbe l'unico "enjambement" del sonetto e che una stesura precedente del componimento, invece di "assembling", aveva "through ruin". v. 11: "Cage". La gabbia toracica. v. 14: "A hundred storks". Le cento cicogne simboleggiano l'età della vittima con un richiamo alle nascite (le cicogne della credenza popolare) che verranno a sostituire la sua esistenza nel mondo. da Poesie di Dylan Thomas, cura e traduzione di Ariodante Marianni, Mondadori (Oscar n° 254), Milano, settembre 1971 (IIa edizione), pag. 188
He put on his clothes and stepped out and he died,
The locks yawned loose and a blast blew them wide,
He dropped where he loved on the burst pavement stone
And the funeral grains of the slaughtered floor.
Tell his street on its back he stopped a sun
And the craters of his eyes grew springshots and fire
When all the keys shot from the locks, and rang.
Dig no more for the chains of his grey-haired heart.
The heavenly ambulance drawn by a wound
Assembling waits for the spade's ring on the cage.
O keep his bones away from the common cart,
The morning is flying on the wings of his age
And a hundred storks perch on the sun's right hand.
Mentre il mattino si svegliava sopra la guerra,
Indossò i suoi vestiti, varcò la soglia e morì;
Le serrature allentate saltarono a uno scoppio:
Cadde lì dove amò, sul marciapiede esploso,
Nella funebre polvere del suolo massacrato.
Dite alla strada capovolta che egli arrestò un sole
E eruttò fiamme e virgulti dai crateri degli occhi
Quando tutte le chiavi caddero dalle toppe e tintinnarono.
Non scavate più per le catene del suo cuore canuto.
L'ambulanza del cielo tratta da una ferita
Aspetta, radunando, il suono della vanga sulla gabbia.
Oh, tenete lontane le sue ossa da quel carro comune;
Il mattino s'invola sulle ali dei suoi anni
E cento cicogne si posano alla destra del sole.
Ario, Le mura di Gerico, monotipo su carta, 1971 |
v. 3: "The locks". Le serrature, come più oltre le chiavi e le catene, simboleggiano i legami che tenevano unito il corpo del vecchio. v. 6: "He stopped a sun". Fermò un sole perché da quel momento il sole non brillò più per lui. E' però probabile che "sun" stia per "bomba" e che la frase sia una alterazione dell'espressione slang "to stop a bullet", letteralmente "fermare un proiettile", col significato di esserne colpito. v. 10: "Drawn by a wound". "Wound" (ferita) è parola usatissima da Thomas con varie intenzioni. Il Tindall pensa che qui possa riferirsi al Cristo, detto altrove "world's wound". "Drawn" ha vari significati; i due più probabili in questo contesto sono "tirata" e "chiamata"; usando "tratta" si è inteso conservare nella traduzione un po' dell'ambiguità presente nell'originale, acquistando il senso di "assembramento di feriti", come traduce Bigongiari. Mi sono allontanato da questa pur valida interpretazione principalmente per due motivi: che si avrebbe l'unico "enjambement" del sonetto e che una stesura precedente del componimento, invece di "assembling", aveva "through ruin". v. 11: "Cage". La gabbia toracica. v. 14: "A hundred storks". Le cento cicogne simboleggiano l'età della vittima con un richiamo alle nascite (le cicogne della credenza popolare) che verranno a sostituire la sua esistenza nel mondo. da Poesie di Dylan Thomas, cura e traduzione di Ariodante Marianni, Mondadori (Oscar n° 254), Milano, settembre 1971 (IIa edizione), pag. 188
domenica 3 agosto 2014
Ritratto di poeta
Unicorni al guinzaglio, tragici amori,
gite nell’aldilà, eroiche risse:
tutto si svolge clandestinamente
nei sotterranei del suo piccolo cranio.
Chi ha parlato d’angeli in giro
di Muse svolazzanti?
Si vede un uomo a un tavolino,
non molto diverso da un comune archivista:
ogni tanto si scosta, solleva la testa,
stringe le palpebre affilando le nari,
ripete come un maniaco, gustando le sillabe,
decine di volte le stesse parole.
Ariodante Marianni, da Un amore senile e altre spezie, Book Editore 2008
gite nell’aldilà, eroiche risse:
tutto si svolge clandestinamente
nei sotterranei del suo piccolo cranio.
Chi ha parlato d’angeli in giro
di Muse svolazzanti?
Si vede un uomo a un tavolino,
non molto diverso da un comune archivista:
ogni tanto si scosta, solleva la testa,
stringe le palpebre affilando le nari,
ripete come un maniaco, gustando le sillabe,
decine di volte le stesse parole.
Ariodante Marianni, da Un amore senile e altre spezie, Book Editore 2008
martedì 25 marzo 2014
Come sarà quest'albero, di Ariodante Marianni (26 marzo 2007 - 26 marzo 2014)
Come sarà quest’albero
il prossimo inverno,
quando scadranno i termini e tutta
indurita la terra
allestirà un sontuoso banchetto
per le esequie dei fiori?
Legioni di architetti scaveranno
città sotterranee e la linfa
gelerà nei suoi condotti.
Come saranno
queste conchiglie e queste pinne?
Assurdo piangere
per il tempo che passa (troppo in fretta
per la nostra ingordigia).
Ariodante Marianni, dalle carte inedite Work in progress. La poesia fu poi pubblicata postuma sulla rivista CAPOVERSO n. 26/2012
Ario, Sera di primavera, disegno a gessetti su carta. 1960 |
sabato 15 febbraio 2014
Radici
Non ho radici dove sono nato
né dove vivo né da cui provengo,
madri sabine e padri marchigiani
("marchesi" mi uscì detto bambino,
e mi costò un soprannome beffardo)
con qualche probabile zampino
gotico o longobardo.
Vorrei potermi dire cittadino del mondo,
ma in quel lapsus puerile
c'erano già i confini di questa patria certa,
circoscritta, ristretta
in questa lingua che uso (al punto che sospetto
che la mia lingua sia il mio stesso io,
se con lei penso, con lei sogno e scrivo).
Vorrei sentirmi un semplice abitante terrestre,
come il celeste giorno che scovai
fra le alghe verdi e i ciottoli del fondo
la conchiglia più bella del reame
e godendola tutta mi tuffai
privo di vesti a vincoli di verbi,
animale di pure sensazioni,
di salda essenza e mitiche visioni.
Ariodante Marianni, Una strana gioia, Manni, dicembre 2003
Wikipedia
né dove vivo né da cui provengo,
madri sabine e padri marchigiani
("marchesi" mi uscì detto bambino,
e mi costò un soprannome beffardo)
con qualche probabile zampino
gotico o longobardo.
Vorrei potermi dire cittadino del mondo,
ma in quel lapsus puerile
c'erano già i confini di questa patria certa,
circoscritta, ristretta
in questa lingua che uso (al punto che sospetto
che la mia lingua sia il mio stesso io,
se con lei penso, con lei sogno e scrivo).
Vorrei sentirmi un semplice abitante terrestre,
come il celeste giorno che scovai
fra le alghe verdi e i ciottoli del fondo
la conchiglia più bella del reame
e godendola tutta mi tuffai
privo di vesti a vincoli di verbi,
animale di pure sensazioni,
di salda essenza e mitiche visioni.
Ariodante Marianni, Una strana gioia, Manni, dicembre 2003
Wikipedia
Ario, Carnevale degli animali ad Altamira, monotipo su carta 1965 |
lunedì 10 febbraio 2014
Nadia Fusini sulla traduzione di Marianni dell'intera opera poetica di Yeats
Alla collana dei Meridiani si aggiunge con W. B.
Yeats un' altra perla. E questo perché W. B. Yeats è poeta grandissimo, e cura
migliore non poteva darsi della sua poesia. Ottimo è il team di studiosi che
collaborano all' impresa in un rinvio armonioso; sì che l' eccellenza delle
traduzioni di Ariodante
Marianni ravviva la nostra lettura, il commento di Anthony L.
Johnson l' approfondisce, l' introduzione di Piero Boitani la dispone sin dall'
inizio all' ascolto della complessa musica di idee, pensieri e immagini che
portarono il giovane Yeats, bravo fin dall' inizio, alle eccelse vette della
maturità e della vecchiaia, attraverso passaggi e metamorfosi tutti documentati
con precisione locale, e insieme proiettati sullo sfondo poetico e culturale
dei miti e delle influenze, grazie alle quali Yeats diventò il poeta che è. La
guida nel continente Yeats che Boitani ci offre è sicura, e senz' altro la
rafforza la conoscenza che nei commenti e nelle note ci mette a disposizione
Johnson. Ma a niente varrebbe la loro splendida performance, se la lingua di
Yeats non si incarnasse nelle magnifiche traduzioni del traduttore, poeta egli
stesso, Ariodante Marianni.
Introduzione, note, commento, traduzione sono atti diversi, ma tutti al
servizio dello stesso scopo: farci leggere Yeats come va letto. E la traduzione
è in questo un passaggio fondamentale. Anche troppo belle sono queste
traduzioni; tanto che potrebbe venirci la voglia di fermarci all' italiano, la
voglia di non provare lo scacco, la delusione che sempre ci spingono al testo
originale, per trovare lì la parola sorgiva, com' era all' origine. Quando la
traduzione è a questa altezza quasi dimentichiamo che essa è un evento
impossibile, o più semplicemente un tentativo, una tensione che spesso scopre
che la poesia non si traduce, ma si tradisce. E viene da pensare, come
sosteneva un altro grande traduttore di Yeats, Yves Bonnefoy, che la grande
poesia supera la forma in cui nasce.
da Repubblica del 21 novembre 2005 pagina 33 sezione: CULTURA
W. B. Yeats, Opera poetica, Mondadori, I meridiani 2005
domenica 19 gennaio 2014
Fabio De Santis così recensiva "Un amore senile"
Libro pregevole, dal titolo esplicito, puntuale anche nello specificare che trattasi di poesie di un ottuagenario.
La precisazione diventa decisiva se si pensa che la prima parte del libro è un poema d’amore, cosa rara a trovarsi oggi. In effetti l’aroma speziato a cui allude l’autore, scomparso nel marzo del 2007, fa pensare all’afrore dei sessi, dei corpi appassionati, per una schiettezza, una freschezza stupefacente al cospetto di un amore senile. La tenerezza e la sensualità che emergono dalle poesie vanno ben al di là dei pregiudizi anagrafici e sorprende l’incanto di un giovane stupore: "la vedo così bella, così giovane/che aspetta innamorata/proprio me, proprio me!"
Il libro, nella seconda parte, procede con divertissement, acuta ironia e momenti di intensità poetica, come in Tuscania, componimento dedicato al maestro Ungaretti. Chiude l’opera del traduttore, con tre sonetti di Shakespeare e una poesia di William Carlos Williams.
ARIODANTE MARIANNI: UN AMORE SENILE e altre spezie
Poesia – nota di Alfredo Luzi - Book Editore 2008. In copertina: Ario, Monotipo in rosso, 1967
da PLURABELLE. NOTIZIE DAL LABORATORIO DI POESIA DI MODENA
aperiodico solo per posta elettronica
numero 17 – estate 2008
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