sabato 23 febbraio 2019

L'uccisione del maiale, di Ariodante Marianni

       A Mario Socrate

Hai mai visto ammazzare un maiale? 
Da queste parti ancora lo macellano 
"al modo antico" che, dicono, 
dà i risultati migliori: carni bianche, 
senza residui sanguigni che le farebbero marcire. 
E' un modo atroce, che la legge proibisce.
Vanno al porcile, legano l'animale, 
gli infilzano nel grifo un uncino appuntito, 
tirano, e lo trascinano a un tavolaccio inclinato 
su cui lo stendono e lo sgozzano; 
e mentre quello urla e si dibatte, 
gli versano addosso acqua bollente 
e cominciano a radergli le setole 
(gliene versano anche in un orecchio 
perché gli spasmi aumentino 
e il sangue sia espulso con più forza).
Mi capitò di assistervi, una volta; 
non c'era crudeltà nei loro occhi: 
gesti precisi, coordinati, compiuti 
in calcolata successione, come un rito; 
e a cose fatte (sezionato il corpo, 
salate e insaccate le carni), nell'Agape 
che lo corona, la gaia compiacenza 
del còmpito bene eseguito. L'episodio 
mi è ritornato su come un rigurgito 
la notte scorsa, guardando un film giallo 
in cui un sicario parla di "contratti" 
con distaccata professionalità.                  
Le idee si associano spontaneamente: 
c'è un abisso fra l'ammazzare il porco 
e l'etica del killer! ma se rifletti, 
un legame lo trovi: è la coscienza 
dissociata dall'atto, l'alibi del lavoro 
"fatto secondo le regole" 
(che possono essere le più diverse: 
patti, usanze, modelli, ordini, leggi, 
dottrine e dogmi, e via discorrendo).      
C'è un'ossessione che mi porto dietro 
da quand'ero ragazzo, più oppressiva 
in questi giorni che scontiamo le ore 
d'un ultimatum di guerra: 
generali ed esperti intorno a un tavolo 
con le carte geografiche. In un silenzio 
che scava vuoti nella mente, 
un dito indica un punto su una mappa 
e una voce dà un ordine .


E' più d'un mese che ho interrotto
questa lettera: giorni vissuti male, 
sballottolati come sugheri fra ondate 
di pessimismo e speranza 
che la violenza atavica non prevarrà. 
Incollati davanti ai teleschermi, 
assistiamo "in diretta", ora per ora, 
al più antico spettacolo di massa.
Commenti e immagini, montate a ritmo 
incalzante, mantengono viva la suspense.
Vediamo truppe e carri armati, navi 
cannoneggianti, squadriglie in volo, 
fiamme e crateri (pochissimo  i morti, 
per non commuoverci troppo).
Alti gradi e politici o i loro portavoce 
arrivano ogni tanto a raccontarci 
le loro epopee rassicuranti.
Nel cielo buio delle Mille e una notte, 
missili e contraerea fanno le belle luminarie; 
dal deserto soffiano nebbie di sabbia.  

Amico mio, che inganno è il nostro! 
Vorremmo cose all'apparenza semplici, 
ma che sono impossibili; 
è triste ammetterlo, appartengono ai Miti.
E io mi sento ogni giorno più vicino 
a quel vecchio barbone che al tramonto 
rientrava nella botte dalle strade di Atene, 
reggendo in mano un lume traballante, 
un moralista disilluso che non poteva più soffrire 
di sentir esaltare questa meschina, tracotante, 
stolida, reiterata Storia delle vicende umane, 
così poco eccitante da stonare le trombe 
ad ogni minima variante del tedio millenario.
Batteri e virus sono i veri padroni 
(ho l'influenza, lo dico con cognizione di causa) 
e quanto noi contano topi e rane.   
  
Ho perso il filo da un pezzo, non so nemmeno 
come volevo concludere.
Poco male, diciamo che ti ho scritto 
per raccontarti come ammazzano il maiale 
da queste parti (Agro romano, alto Lazio).

Castel Giuliano, gennaio/febbraio 1991 


        Da  Una strana gioia (poesie 1982 - 2002), Manni Editore 2003.

Baghdad sotto i bombardamenti alleati il 18 gennaio 1991 (Ap. Corriere della Sera)

sabato 16 febbraio 2019

Ci fu un tempo, di Dylan Thomas. Traduzione di Ariodante Marianni

Was there a time
Was there a time when dancers with their fiddles
In children’s circuses could stay their troubles?
There was a time they could cry over books,
But time has set its maggot on their track.
Under the arc of the sky they are unsafe.
What’s never known is safest in this life.
Under the skysigns they who have no arms
Have cleanest hands, and, as the heartless ghost
Alone’s unhurt, so the blind man sees best.

Ci fu un tempo
Ci fu un tempo che i funamboli con i loro violini
Nei circhi dei bambini potevano frenarne i turbamenti ?
Ci fu un tempo che potevano piangere sui libri,
Ma il tempo ha posto il verme sul loro sentiero.
Sotto l’arco del cielo essi non sono al sicuro.
Ciò che rimane ignoto in questa vita è più sicuro.
Sotto i segni del cielo chi è privo di braccia
Ha le mani più nette, e, come il fantasma senza cuore
È il solo illeso, il cieco vede meglio.

D. Thomas, POESIE E RACCONTI, Einaudi Editore