L’enorme quantità di libri che arrivano sul tavolo di chiunque si occupi di letteratura può far sì che fra essi possa anche nascondersi un capolavoro che solo anni dopo verrà riconosciuto da qualche solerte e attento ricercatore. Nella cernita immediata che se ne fa, alcuni vengono sfogliati subito e giudicati; di altri si rimanda la lettura a tempi più distesi, talvolta alle vacanze. E’ quello che mi è capitato di fare con questo romanzo di Giuseppe Favati, dal titolo ammiccante e reclamante complicità di Per esempio, con la coda dell’occhio (Manni Editori, S. Cesareo di Lecce, 2005). E’ un libro francamente pornografico, che l’autore, finissimo letterato, si affretta a giustificare e avallare ad apertura di pagina con questa dotta citazione dal “Dizionario filosofico” di Fernando Savater, alla voce Teresa: “Sapevi, mia lettrice, che fino a poco tempo fa, nel catalogo di molti librai, la denominazione ‘libri filosofici’ includeva le opere pornografiche? Questo encomiabile contagio proviene dal diciottesimo secolo, come tante altre cose buone. In quell’epoca benedetta, essere filosofi anche in questo significava, in generale, essere libertini […]. L’aggettivo diventava inequivocabile quando veniva applicato ai racconti o ai romanzi ‘filosofici’. Ancor più, naturalmente, se queste narrazioni erano opera di autori francesi”.
Il romanzo, che inizia con la descrizione di un "rituale" lesbico fra la protagonista Totò e la sua compagna Nrica, un medico dalle cui risorse dipende economicamente, è strutturato per capitoli alla stregua di un rapporto epistolare fra la stessa Totò e il suo ex Onorio, in cui ciascuno racconta all’altro le proprie vicende erotiche, a stuzzicarne verbalmente la fantasia, quasi una continuazione dei loro antichi rapporti. E sarà proprio la scoperta delle lettere di lui a scatenare la gelosia di Nrica e a far cessare il rapporto fra le due donne. Non vado oltre nella descrizione del libro per non togliere al lettore il gusto e la sorpresa di scoprire da sé le varie fasi di una vicenda ricca di momenti sapidi e allegramente satirici ma anche di sotterranee incursioni nel mondo dei diseredati e dei senza lavoro, ossia dei senza futuro. Favati si rivela in queste pagine scrittore a tutto tondo, con uno stile originale, polposo, da gustare come un frutto maturo. A conforto del giudizio ampiamente positivo che ho del romanzo, mi piace riportare ciò che ho trovato on line a firma di Eleonora Bellini e che mi sembra centri con acume quella che anche a me pare essere la principale caratteristica del libro:
"... qui non vi è solo il racconto gustoso di comportamenti e vicende da boudoir, lo sguardo si allarga, come già quello dei filosofi illuministi, a considerare situazioni taciute o ipocritamente negate dai più: i bisogni sessuali - erotici, amorosi - dei portatori di handicap, ad esempio, oppure degli anziani. Tutti raccontati con la voce "dal di dentro" della principale protagonista, un personaggio dotato di più storie e più volti, tra i quali anche quello di paladina all'interno di Ricominciare dalla tre, originale associazione, a mezzo tra il volontariato puro e semplice e l'enfatico attivismo da esercito della salvezza. Naturalmente qui la missione è quella della salvezza sessuale, dell'esercizio erotico, della condivisione del piacere, per missionarie ed adepti, senza distinzione".
A conclusione di questa breve nota vorrei aggiungere un accenno a un autore del primo ‘900 che fece dell’erotismo il proprio cavallo di battaglia, raggiungendo fama e ricchezza ma anche processi per oltraggio al pudore e persecuzioni razziali: parlo dell’ebreo Dino Segre, che con lo pseudonimo di Pitigrilli pubblicò a partire dagli Anni Venti vari romanzi di enorme successo (ne ho letto uno in questi giorni, “Cocaina”, del 1921, che nel ’28 era già alla sua 12a edizione!), oggi del tutto dimenticato. Era anche lui uno scrittore “libertino”, ossia un libero pensatore, con l’occhio attento alle magagne del suo tempo.
Il lettore dunque si lasci pure coinvolgere dalla trama e dalle sapide situazioni del romanzo di Favati, ma non dimentichi che l’occhio dello scrittore spazia in un campo più ampio, penetra oscuri e taciuti anditi della società del suo tempo: il nostro.
Ariodante Marianni